«Sono e siamo orgogliosi di essere qui oggi a portare il nostro contributo e la nostra voce». Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, accompagnata dall’avvocato Fabio Anselmo, che ha seguito la famiglia dopo la morte del giovane fino a quando il muro di omertà e impunità non è crollato, ha esordito partecipando ad un’iniziativa sulla giustizia all’interno delle celebrazioni del ventennale di Genova 2001. «Sono passati vent’anni dai fatti di Genova, quasi dodici dalla morte di mio fratello – ha continuato Cucchi – Eppure a volte si ha la sensazione che, nonostante tutti i nostri sforzi, nulla sia cambiato».

Genova 2001, Giuliani e Cucchi: il ruolo diverso della stampa

Nulla sembra cambiato da Genova 2001, ma nemmeno dalla morte di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e tanti altri che hanno perso la vita a causa delle forze dell’ordine. A testimoniarlo sono le torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, su cui torna Anselmo e che lo spingono ad essere pessimista. Se da un lato, infatti, i risultati ottenuti per avere verità e giustizia per la morte di Stefano e l’opera di sensibilizzazione che quella come altre vicende hanno contribuito a fare nell’opinione pubblica, le notizie dei pestaggi in carcere, ma soprattutto le reazioni corporative o della politica che rivendicano quella violenza, fanno apparire infinita la strada da percorrere.

Una differenza, però, tra il caso di Carlo Giuliani e quello di Stefano Cucchi c’è e riguarda il lungo e faticoso percorso per avere verità e giustizia. Nel primo caso, quello di Carlo, le speranze sono naufragate perché non si è nemmeno aperto un processo. La Procura, per salvare la faccia dello stesso Stato, ha deciso di avvalorare tesi improbabili, come quella del sasso che avrebbe deviato il proiettile, contraria alle leggi della fisica e alle evidenze balistiche.
Al contrario, per la morte di Stefano si è arrivati a condanne che hanno saputo individuare non solo i responsabili, ma anche coloro che, all’interno delle forze dell’ordine, hanno cercato di depistare le indagini.

«Un elemento di differenza – rimarca l’avvocato Anselmo – è il ruolo dei giornalisti. La propaganda mistificatoria e negazionista al G8 trovò facile e entusiastico albergo nell’opinione pubblica per responsabilità dei giornalisti, che diffusero e collegarono le immagini dei black block alle ferite terribili che uscivano da Bolzaneto e dalla Diaz».
Al contrario, nel caso di Stefano Cucchi la stampa ha esercitato un ruolo diverso, che invece ha contribuito a raggiungere verità e giustizia. «La responsabilità è della stampa – insiste l’avvocato – La stampa deve essere libera e indipendente e deve avere il coraggio di fare il proprio mestiere. Purtroppo non sempre questo accade».

GUARDA L’INTERVISTA A ILARIA CUCCHI E FABIO ANSELMO: