Le immagini del pestaggio dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, diffuse dal Domani, stanno creando clamore e sconcerto. L’episodio è avvenuto il 6 aprile 2020, quando l’Italia era in pieno lockdown, ma le immagini delle telecamere a circuito chiuso hanno testimoniato ciò che le persone recluse avevano denunciato, mettendosi contro le versioni ufficiali che, in questi casi, tendono a coprire i reati commessi dalle forze dell’ordine.
A più di un anno di distanza, lunedì scorso i carabinieri di Caserta hanno eseguito 52 misure cautelari nei confronti di agenti della polizia penitenziaria, accusati di violenze nei confronti dei detenuti.

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, è intervenuta sulla vicenda, parlando di quanto accaduto come di un «oltraggio alla dignità dei detenuti e tradimento della Costituzione». Una reazione stupita che però diverge dalle molte segnalazioni di violenze giunte proprio durante i mesi di pandemia, raccolti da associazioni come Antigone. Mettendo in fila tutte le diverse segnalazioni, viene da pensare che quello di Santa Maria Capua Vetere non sia un caso isolato, ma sembra piuttosto un metodo, in particolare una punizione organizzata contro i detenuti che un mese prima avevano osato rivoltarsi per le preoccupazioni dovute alla pandemia.

Carcere, le tante segnalazioni fanno pensare a un metodo

Sono tantissime le segnalazioni ricevute dall’associazione Antigone nella primavera del 2020, dopo lo scoppio della pandemia, così come sono tanti gli esposti presentati in seguito a quei contatti. Una violenza sistematica da parte della polizia penitenziaria che ha portato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, a parlare di un “manuale di etnografia carceraria“, composto da quattro elementi chiave: la pianificazione della rappresaglia, la certezza dell’impunità, lo spirito di corpo e il linguaggio.

Uno dei casi più eclatanti, dopo quello di Santa Maria Capua Vetere, riguarda il carcere di Modena, dove 9 detenuti morirono in seguito alla rivolta del marzo 2020, sia nel giorno stesso che in quelli a seguire. Il Comitato Verità e Giustizia nato nella città emiliana ha realizzato un dossier di testimonianze dalle quali emerge che durante e in seguito alle rivolte, in particolare nei trasferimenti al carcere di Ascoli, ci furono pestaggi da parte della polizia penitenziaria verso i detenuti provenienti da Modena. L’inchiesta, però, è stata clamorosamente archiviata.

Le segnalazioni, con relativi esposti, seguite da Antigone riguardano, ad esempio, anche le carceri di Pavia, Milano Opera, Melfi e Foggia.
«Diventa difficile sostenere la teoria delle poche mele marce di fronte ad una diffusione così significativa – osserva ai nostri microfoni Alessio Scandurra, responsabile dell’Osservatorio Adulti sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone – c’è una vera e propria cultura della violenza e, oltretutto, non c’è nulla di più paradossale e diseducativo che eseguire una pena in violazione della legge».

Pestaggi, violenze e torture anche prima della pandemia

Non si pensi che siano state le tensioni registrate durante la pandemia a produrre le violenze di cui abbiamo avuto notizia. I pestaggi e le pratiche inumane nei confronti dei detenuti esistevano anche prima del Covid-19 e, dall’introduzione nel 2017 del reato di tortura, i casi sono finiti in tribunale con anche le prime condanne per le condotte degli agenti di polizia penitenziaria.
Proprio al 2017 risale il caso di una violenza nel carcere di Ferrara, per la quale un agente è stato condannato, il primo dall’introduzione del nuovo reato.

Una condanna è arrivata anche per i fatti avvenuti nel carcere di San Gimignano, in Toscana. Le violenze datano 2018 e come vittima hanno avuto un detenuto tunisino. Sono dieci gli agenti di polizia penitenziaria che sono stati condannati per tortura e lesioni aggravate in concorso.
Sempre per fatti risalenti al 2018 è partita un’inchiesta sulle presunte violenze commesse nella Casa Circondariale di Sollicciano. Questa volta sono stati gli agenti a sporgere denuncia per presunta resistenza a pubblico ufficiale ma, anche grazie all’acquisizione della videosorveglianza, la Procura di Firenze ha ritenuto le accuse non veritiere, iniziando ad indagare sugli stessi agenti che avevano sporto denuncia. In particolare, alcuni detenuti avrebbero subito pestaggi, riportando gravi lesioni.

L’associazione Antigone, inoltre, è stata ammessa come parte civile nel processo che si celebrerà su quanto accaduto nel carcere di Monza nell’agosto 2019, quando un detenuto sarebbe stato preso a calci e pugni da diversi agenti.
A ottobre 2019 Antigone riceve notizia di una indagine in corso presso la Procura del Tribunale di Torino per diverse ipotesi di reato, tra cui anche la tortura, a carico di 17 agenti della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”. Nei confronti di tredici persone viene emessa un’ordinanza di misura cautelare.

A gennaio 2020, Antigone viene contattata dalla moglie e dal legale di una persona detenuta presso la Casa circondariale Pagliarelli di Palermo. Entrambi denunciano violenze e maltrattamenti subiti il 18 gennaio 2020 dal familiare e assistito al momento dell’ingresso in carcere. Due giorni dopo,la persona detenuta viene portata davanti ai Giudici della Corte di Assise di Appello di Palermo per lo svolgimento del processo. In quella sede rende dichiarazioni spontanee, denunciando quanto accaduto al suo arrivo in carcere. La Corte, riscontrati i segni al volto e ascoltato il racconto, trasmette gli atti alla Procura competente.

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