DiRe, la rete nei centri antiviolenza, ritiene insoddisfacente il decreto sul femminicidio. Al centro delle critiche la questione affrontata come emergenza di ordine pubblico e non come problema culturale e sociale. Critiche anche su investimenti e strumenti per applicare la legge. “Ancora lontani dal dare attuazione alla Convenzione di Istanbul”.
Per chi assiste le donne vittime di violenza è un no. La legge sul femminicidio in discussione in Parlamento è stata ritenuta insoddisfacente – al punto da respingerne i presupposti – da DiRe, la rete dei centri antiviolenza, cioè coloro che affrontano quotidianamente il drammatico tema.
L’obiezione di fondo al decreto riguarda la considerazione del fenomeno, affrontato come una emergenza di ordine pubblico, in cui le donne sono “oggetti” deboli da tutelare, e non come questione culturale e sociale. Inoltre è difficile risolvere il problema senza investimenti economici e strumenti per applicare le tante leggi che già esistono.
Proprio per questo i centri antiviolenza scrivono che “Le misure previste sono inadeguate a contrastare la violenza maschile contro le donne e sono ben lontane dal dare attuazione alla Convenzione di Istanbul“.
Le critiche nel dettaglio
Sono numerose le critiche che DiRe avanza al decreto legge. Oltre all’impostazione sbagliata, i centri antiviolenza non apprezzano l’approccio settoriale e frammentario, con cui si distinguono le diverse forme di violenza sulle donne (femminicidio, violenza sessuale, violenza di genere, stalking) e dimenticando che si tratta di un unico fenomeno. Troppi e scollegati tra loro i disegni di legge, perché, ricorda DiRe “si producono nuove leggi, quando il problema italiano non è la carenza di strumenti giuridici ma la loro applicazione, assolutamente insufficiente e disomogenea sul territorio nazionale.
Altro problema il capitolo “risorse“: manca un’adeguata copertura finanziaria, tanto che il “Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere” – previsto nel capo 1 del decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013 – si vorrebbe realizzare a costo zero.
Vi sono poi errori di impostazione concettuale, che fanno sì che ancora una volta la donna venga considerata oggetto debole da tutelare: “L’ irrevocabilità della querela, introdotta verosimilmente con l’intento di proteggere la donna da eventuali pressioni, minacce o ritorsioni è una responsabilità che lo Stato non è in grado di assumersi, non esistendo un serio programma di protezione della vittima”.
Infine è anche una questione di metodo, poiché le associazioni che si occupano da anni di questo tema non sono state coinvolte nell’elaborazione della legge.
Le richieste
I centri antiviolenza chiedono un cambio di impostazione e provvedimenti concreti. A partire dalla nomina, da parte del governo, di un soggetto istituzionale che coordini gli interventi sulla violenza. Proseguendo con il rinnovo del piano nazionale, in scadenza a novembre, che dovrebbe essere fatto tenendo conto degli standard europei, essere intercompartimentale e interdisciplinare, con una attenzione specifica a misure concrete di sostegno ai centri antiviolenza, senza i quali qualsiasi intervento rappresenterebbe una mera, frammentaria e demagogica enunciazione di principi.
In virtù di ciò, DiRe chiede di essere considerata una stabile, qualificata e autorevole interlocutrice proprio per il lungo percorso di oltre 20 anni di lavoro di tutte le associazioni aderenti a fianco delle donne che hanno subito violenza.