Non basta il brutale omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, il carcere duro e arbitrario per lo studente e attivista Patrick Zaki, le migliaia di dissidenti politici incarcerati e le sistematiche violazioni dei diritti umani confermate da report internazionali in Egitto. Così come non basta un colpo di Stato avvenuto due mesi e mezzo fa che ha portato ad una durissima repressione e almeno 300 morti in piazza in Bangladesh. E qualora non bastasse la violenza politica, ci pensano le pesanti inondazioni che colpiscono il territorio.
Se si guarda ai diritti umani, la lista dei Paesi sicuri che il governo italiano ha stilato e inserito in un decreto per tentare di ribaltare le decisioni della magistratura in merito al trattenimento dei migranti non regge.
Egitto, Bangladesh e altri: i Paesi sicuri stabiliti per decreto non lo sono
Il decreto Paesi sicuri, licenziato dal Consiglio dei ministri di ieri sera, contiene un elenco di 19 Paesi che, secondo l’esecutivo, non presentano particolari problemi. La provenienza di un migrante da uno di questi Stati consentirebbe quindi alle autorità di sottoporlo alla procedura accelerata di frontiera, una modalità con molte meno garanzie giuridiche per chi intende presentare domanda di protezione internazionale. Nel concreto, chi viene sottoposto a quella procedura può essere facilmente deportato in Albania, in virtù dell’accordo stipulato e finora smontato dagli stessi giudici, e può essere rimpatriato.
«Il concetto di Paese sicuro è molto volatile – osserva ai nostri microfoni Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International – perché le situazioni cambiano. Un Paese sicuro lo è per tutte le persone che ci stanno e possono esserci tanto gruppi vulnerabili quanto zone di un territorio che improvvisamente diventano insicure e di cui va tenuto conto».
A proposito della volatilità delle situazioni, emblematico è il caso del Bangladesh. Due mesi e mezzo fa si è registrato un golpe militare che ha spodestato la premier autarchica Sheikh Hasina. Ora, grazie alla mobilitazione studentesca, a capo del governo c’è il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus. «Ma chi ci dice che i militari non organizzino da una settimana all’altra un ritorno al potere in grande stile?», osserva Noury.
Clamoroso è il caso dell’Egitto, dove è stato ucciso Regeni e incarcerato Zaki. Oltre a loro, però, nel Paese ci sono migliaia di giornalisti, attivisti, oppositori politici e tiktoker incarcerati, dove le torture e le sparizioni sono all’ordine del giorno e dove, sottolinea il portavoce di Amnesty International, «la società civile è ridotta al silenzio».
Ma è anche il Paese con cui l’Italia ha molti interessi commerciali, con la vendita di armi e l’acquisto di combustibili fossili come il gas metano.
«Non significa che 140 milioni di egiziani siano a rischio – osserva Noury – ma significa che è un Paese dal quale si è costretti a fuggire per aver preso la parola e se si è costretti a tornare, quella parola significa anni di carcere».
Anche la Tunisia è problematica. «Il Paese viene considerato sicuro – osserva il portavoce di Amnesty – ma il suo presidente, con la sua retorica xenofoba e razzista nei confronti dei migranti subsahariani, è un fattore di spinta per la fuga delle persone. Il risultato paradossale è che l’Italia sta pagando esattamente quella persona che poi è il fattore di spinta».
Insomma, non può essere un decreto del governo, redatto principalmente per ostacolare i flussi migratori dai luoghi di maggiore provenienza, a stabilire una volta per tutte quali Paesi possano essere considerati sicuri e quali no.
«Ci sono i report delle organizzazioni non governative, come Amnesty o Human Rights Watch – sottolinea Noury – ci sono rapporti prodotti a livello governativo, ci sono tutti i meccanismi sui diritti umani delle Nazioni Unite, relatori speciali, le risoluzioni… C’è un’abbondanza di fonti. Il punto è che dovrebbero essere monitorate giorno per giorno e soprattutto non si può prendere come parametro se gli italiani vanno in vacanza in un Paese e si trovano bene».
ASCOLTA L’INTERVISTA A RICCARDO NOURY: