Era il 7 febbraio 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia, quando Patrick Zaki, studente egiziano del master Gemma dell’Università di Bologna, venne arrestato al Cairo, dove era tornato per trascorrere le vacanze natalizie con la sua famiglia. Da quel momento sono passati 1258 giorni fatti di 22 mesi di galera, fino al dicembre 2021, ma il suo rilascio, nel dicembre del 2021, non ha significato la fine del calvario giudiziario, che è precipitato martedì scorso con la condanna a tre anni e si è inaspettatamente risolto e concluso con la grazia concessa ieri dal presidente egiziano Al Sisi.

La storia di Patrick Zaki e del suo calvario per un reato d’opinione

Le autorità egiziane contestavano allo studente un articolo pubblicato nel 2019 su un attentato dell’Isis e due casi di discriminazione ai danni dei cristiani copti in Egitto. L’accusa rivolta a Zaki era di aver diffuso notizie false.
Un reato d’opinione in un Paese dove un regime paranoico attua una feroce repressione nei confronti dei dissidenti, nella cui morsa è purtroppo finito anche il ricercatore italiano Giulio Regeni, ucciso dai servizi segreti egiziani il 25 gennaio del 2016.

Sono tre gli elementi che hanno contraddistinto la vicenda di Patrick Zaki. Da un lato la grande mobilitazione che la cittadinanza, l’Università e il Comune di Bologna hanno messo in piedi per chiedere fin dai primi momenti la liberazione del giovane. Una mobilitazione che non si è mai fermata, trovando anche strade originali per ovviare alle limitazioni imposte dal Covid (alcuni esempi qui: 1, 2, 3, 4).
Non altrettanto – ed è il secondo elemento – si può dire dello Stato italiano che, coi diversi governi che si sono avvicendati, non ha voluto rompere le relazioni bilaterali diplomatiche con l’Egitto, anche in nome di interessi commerciali legati alle forniture di armi ed energetiche.

CHIARA DE NINNO DELLA SEZIONE UNIVERSITARIA DI AMNESTY FA UN BILANCIO DI QUESTI TRE ANNI:

Il terzo elemento riguarda la strategia giudiziaria delle autorità egiziane, fatta di udienze continuamente rinviate. Una sorta di guerra di logoramento nella speranza che i riflettori si spegnessero e che il destino di Zaki finisse nel dimenticatoio.
Così non è stato e ciò spiega il finale a sorpresa: da un lato la condanna a 3 anni per affermare la tesi inconsistente del potere egiziano, dall’altro la grazia del presidente Al Sisi, appena il giorno successivo, per mostrare al mondo un volto magnanimo.

Appena pochi giorni fa Patrick si è laureato. Una laurea a distanza, visto che non poteva lasciare il Paese. Formalmente, quindi, la sua esperienza a Bologna, per quanto fortemente compromessa dalla vicenda giudiziaria, risulta conclusa.
Ciononostante il legame con Bologna, città in cui il giovane ha sempre detto di voler tornare, si è rafforzato proprio in virtù della risposta della città al suo ingiusto calvario. Ed è per questo che, ora che tutto sembra finito, la città lo attende con le braccia aperte per dargli il più caloroso degli abbracci.