Da un lato manifestazioni forti del disagio giovanile, come le risse tra giovani in zona universitaria a Bologna o ciò che i media – con allarmi annessi – hanno semplificato nell’espressione “baby gang”, dall’altro risposte di tipo repressivo o intimidatorio, definite però come operazioni di prevenzione o deterrenza, come le identificazioni a tappeto decise dalla Questura di Bologna.
Quello che accade sotto le Due Torri, però, è solo un tassello di un mosaico più ampio, anche territorialmente, degli impatti che la pandemia ha amplificato e che, secondo molti degli osservatori, «è solo all’inizio».

Disagio giovanile, il fenomeno delle “baby gang” e la sua costruzione mediatica

Non è solo sui giornali di Bologna che vediamo titoli ad effetto che riguardano il cosiddetto fenomeno delle “baby gang“. Gruppi di ragazzini, adolescenti o addirittura preadolescenti, che si rendono protagonisti di episodi di bullismo ed altre forme di violenza ai danni dei coetanei o anche nei confronti di altri cittadini.
La stessa situazione che si sta presentando in queste settimane a Bologna si è presentata in leggero anticipo anche a Milano, dove i media hanno calcato la mano su quella che considerano un’emergenza.

Volendo fissare una data, a Milano la questione è cominciata a capodanno, con le aggressioni con molestie sessuali in piazza Duomo. Una decina di giorni dopo ci sono stati alcuni fatti nei quartieri popolari della città, che sulla stampa sono stati raccontati con titoli tipo “La baby gang di Valentino” o “La baby gang in trasferta”. «Si parla di emergenza – osserva ai nostri microfoni il giornalista Francesco Floris, che sta seguendo le vicende – ma se guardiamo i dati storici questo allarme non esiste. Ieri è stato detto che le denunce nel 2021 sono state 25mila, ma se guardiamo i dati Istat del 2011 erano 37mila, quindi sono in diminuzione».

Floris contesta anche le facili letture che gli organi giudiziari ed altri soggetti danno del fenomeno, ad esempio puntando il dito sulla generazione cresciuta su internet. «Le pubblicazioni scientifiche sull’argomento, al contrario, dicono che la generazione cresciuta su internet è molto meno violenta di quelle che l’hanno preceduta. È molto più infelice e nichilista e compie atti di autolesionismo».
Allo stesso modo l’idea che il problema riguardi i poveri e le periferie è vero solo in parte, perché sempre dai dati si scopre che la violenza giovanile è trasversale ai ceti sociali.

Quello che manca, però, dalle statistiche e dai bilanci sul contrasto a questi fenomeni è l’efficacia degli approcci messi in campo finora. «Sono dieci anni che i militari sono nelle nostre piazze con l’operazione Strade Sicure – ricorda il giornalista – e non è mai stato fatto un bilancio dei costi e dei risultati».
Nonostante ciò, anche a Milano l’approccio sembra essere rimasto uguale, con il sindaco Beppe Sala che ha annunciato l’assunzione di 500 agenti della polizia locale, augurandosi che la ministra degli Interni Luciana Lamorgese ne mandasse altrettanti della polizia di Stato.

ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCO FLORIS:

Le risse e la “prevenzione” intimidatoria della Questura con le identificazioni

Nel territorio bolognese alcuni episodi di disagio giovanile organizzato in gruppetti si è manifestato soprattutto in provincia, mentre nel centro del capoluogo, in particolare nella zona universitaria, abbiamo assistito a fazioni di giovani che davano vita a vere e proprie risse per futili motivi. E anche per questi episodi i media hanno coniato una nuova espressione, “mala movida”.
Il Comune, in un primo momento, ha deciso di affrontare il problema attraverso il coinvolgimento dei gestori dei locali e la riproposizione della figura di tutor mandati in piazza a gestire la situazione. Nella giornata di ieri, però, il sindaco Matteo Lepore ha appoggiato la linea della Questura con le identificazioni.

Proprio la Questura, nelle ultime settimane, ha dato vita ad operazioni di identificazione a tappeto di giovani trovati per le strade della città, non solo quelle interessate dal fenomeno. Ad essere “schedati” dalle forze dell’ordine sono stati giovanissimi a cui spesso non è stato spiegato il motivo dell’intervento. A sollevare il tema sono stati sei consiglieri di maggioranza, che successivamente hanno incontrato il questore Isabella Fusiello, che ha descritto le operazioni come una pratica di prevenzione e deterrenza.

Più che di prevenzione, però, la pratica è sembrata alquanto intimidatoria, specie per giovanissimi che si vedono fermati e identificati senza motivo dalle forze dell’ordine.
È per questo che Sinistra Unita, che ha incontrato il questore nella giornata di ieri, ha richiamato in causa l’Amministrazione comunale, sostenendo la necessità della presenza di assistenti sociali. Ma anche ragionando sulla vocazione assegnata ad alcune zone della città.
«È grave che il primo referente delle istituzioni che incontra un 15enne a Bologna sia la polizia che gli chiede i documenti – osserva ai nostri microfoni Michele Terra di Sinistra Unita – Noi pensiamo che il primo intervento debba essere fatto da un’altra istituzione».

Sinistra Unita sottolinea che se c’è un disagio sociale e una problematica che riguarda settori di minorenni, devono intervenire i servizi sociali, non le forze dell’ordine. «Soprattutto se si tratta di giovanissimi che vengono intimoriti, possono avere paura e sicuramente ciò non migliora il rapporto tra la cittadinanza e le forze dell’ordine», aggiunte Terra, evidenziando che la tempistica degli interventi dovrebbe al limite essere invertita: prima gli assistenti sociali e solo dopo, eventualmente, le forze dell’ordine.

Sinistra Unita però chiama in ballo l’Amministrazione anche per la vocazione che ha deciso per alcune zone della città, zona universitaria in primis. «Sono ormai decenni che piazza Verdi e piazza Aldrovandi sono abbandonate a se stesse da un lato e dall’altro sfruttate a livello economico in una maniera non consona alla vocazione culturale di quella zona – evidenzia l’esponente di Sinistra Unita – Le Amministrazioni che ci sono state negli ultimi decenni hanno fatto determinate scelte. Se a dei ragazzi dai 15 ai 25 anni offri soltanto un tipo di consumo che è pizza, birra, panini e superalcolici, non ti puoi aspettare qualcosa di diverso da quello che avviene la sera. Se non c’è una rivitalizzazione culturale, politica e di socialità diversa, se non offri un altro tipo di aggregazione che non sia solo quello del consumo a bassissimo prezzo di sostanze alcoliche, non ti puoi aspettare comportamenti diversi da quelli che ci sono».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MICHELE TERRA:

La cura è meglio dell’allarme sociale e del controllo

Ai nostri microfoni è intervenuta anche Paola Ziccone, dipendente del Centro di giustizia minorile ed ex direttrice dell’istituto penale del Pratello, a Bologna. Ziccone sottolinea che la violenza dei giovani o giovanissimi è solo una delle manifestazioni del disagio, ma i dati parlano anche di un aumento degli accessi ai servizi di neuropsichiatria, di autolesionismo o suicidi. E una società della cura dovrebbe tenere presente di questi aspetti quando approccia questo problema, perché è proprio attraverso le relazioni con gli altri che i giovani imparano a gestire le proprie emozioni, ma durante la pandemia le relazioni sono state di fatto tolte.
«Un pezzo del loro sviluppo emotivo è mancato – sottolinea Ziccone – e non so come si potrà recuperare. Non mi sembra che si sia ancora nella dimensione di progettare un recupero della loro crescita ed educazione».

Proprio per questo il sensazionalismo e l’allarme sociale generato dalla stampa, ad esempio con l’espressione “baby gang” non aiuta ad approcciare nel modo giusto il problema, oltre a generare uno stigma che corre il rischio di influenzare l’identità stessa dei più giovani.
«Abbiamo già visto cosa significa criminalizzare una fetta intera di popolazione – osserva Ziccone – Piuttosto cerchiamo di capire e comunicare le cose in un’ottica di cura».

ASCOLTA L’INTERVISTA A PAOLA ZICCONE:

«Meno fotosegnalazioni e più casting teatrali», la provocazione del regista

Paolo Billi ha una lunghissima esperienza a contatto sia con ragazzi detenuti nel carcere minorile del Pratello, sia con quelli che sono seguiti dai servizi della giustizia minorile, come quelli che si trovano in comunità o ai domiciliari. Con loro, e grazie al Teatro del Pratello, realizza laboratori teatrali nel corso dei quali «i ragazzi si trasformano», racconta ai nostri microfoni.
«Il mio fare con loro teatro è farli giocare in situazioni in cui l’individualità si ritrova insieme ad altre individualità, ad altre persone diverse da loro, anche con persone più grandi – racconta il regista – e fare teatro diventa l’occasione collettiva di riconoscersi in un altro modo, di investire le proprie emotività e tutto ciò permette di far fiorire dei momenti estremamente intensi di rapporti tra persone».

A monte di ogni discorso, però, Billi sottolinea la necessità di approcciarsi al disagio giovanile con molta oculatezza. «Usciamo da un periodo che può essere contestualizzato in una situazione di gravi privazioni subite a livello di rapporti sociali – sottolinea – Il fatto di ritrovarsi in questi gruppi, più o meno piccoli, e compiere gesti di violenza va contestualizzato in questo modo».
Billi ipotizza che ci troviamo in presenza di un disagio che affiorerà nei prossimi tempi anche in maniera maggiore, per cui il punto è non far diventare la questione un problema di ordine pubblico, perché sarebbe il più grande errore d’approccio che si possa commettere.

Ed è qui che il regista lancia la sua provocazione, riecheggiando le polemiche bolognesi. «Invece che fare delle identificazioni visive dei giovani, facciamo dei casting teatrali, cerchiamo di agganciarli per far loro fare qualcos’altro – afferma Billi – Qualche giorno fa lo stesso sindaco aveva detto “più teatro e meno carcere”. Proviamo davvero a giocare la carta del teatro, può essere davvero un grande veicolo di trasformazione anche in questi momenti di così grande disagio».
In definitiva, è anche una questione di opportunità che vengono offerte ad una generazione a cui spesso sembra essere stata sbarrata la strada del futuro.

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