Non è l’unica voce ad essersi alzata, anche se la stampa occidentale ne dà poco conto, quella di 142 docenti dell’Università di Bologna che hanno lanciato una petizione per chiedere all’Alma Mater di prendere posizione nella richiesta di un cessate il fuoco immediato a Gaza.
Il bilancio delle vittime degli incessanti bombardamenti israeliani, impegnati in un’operazione di punizione collettiva dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso, ha ormai superato gli 8500 morti, di cui più di 3mila bambini.
La strage al campo profughi di Jabalia, dove vivono i palestinesi della Nakba del 1948, è solo l’ennesimo orrore di un conflitto in cui i crimini di guerra e le violazioni del diritto internazionale sono all’ordine del giorno.

Gaza, la petizione dei docenti dell’UniBo per ripristinare il diritto internazionale

Nel lanciare la petizione, i e le docenti dell’Università di Bologna elencano però anche alcuni azioni concrete che l’Ateno potrebbe adottare per contribuire a fermare il conflitto.
«Credo che sia importante che come Università e come luoghi deputati all’analisi critica dei fatti e non all’appoggio verso l’una o l’altra parte – spiega ai nostri microfoni l’antropologa italo-palestine Ruba Salih, una delle promotrici dell’appello – chiami in causa e riproponga il diritto internazionale».
Per questo la petizione chiede di «alzare la voce per chiedere un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi, e la fornitura di aiuti umanitari e di protezione da parte delle Nazioni Unite ai palestinesi di Gaza e negli altri territori occupati».

Nel documento si chiede anche di adottare una risoluzione di solidarietà con la popolazione di Gaza in primis, e con tutte le vittime civili, in Senato accademico; di ribadire l’impegno per la libertà di parola e garantire il diritto degli studenti e delle studentesse di UniBo al dibattito e di favorire momenti di dibattito e discussione in Ateneo; di impegnarsi in atti tangibili di solidarietà e partnerships con le istituzioni universitarie palestinesi. Infine si chiede di affermare che il modo per porre fine alla violenza è quello di porre fine alla causa principale della violenza: l’apartheid e l’occupazione israeliana dei territori attributi dall’Onu al popolo palestinese.

Un altro punto dirimente riguarda le partnership che l’Università stipula con enti ed istituzioni israeliane e che in alcuni casi sono direttamente collegate all’occupazione o all’apparato militare. Nello specifico i docenti dell’UniBo chiedono che venga aperto «il dibattito sull’adozione di forme di pressione accademica e di disinvestimento da società che finanziano l’occupazione».
«Nel mondo di sono istituzioni, associazioni, chiese, sindacati, università e associazioni professionali che chiedono il boicottaggio e il disinvestimento delle istituzioni accademiche israeliane – osserva Salih – Noi chiediamo semplicemente di ritornare a fare luce sulla possibilità di forme pacifiche di pressione affinché l’occupazione dei territori palestinesi possa cessare». Nelle università di tutto il mondo, inclusa quella di Bologna, ci sono produzioni di sapere ancorate all’apparato militare. Rompere questo legame potrebbe rappresentare una forma pacifica di pressione per contribuire a fermare il conflitto.

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