Redazione Vanloon: L’11 settembre 1973 Salvatore Allende pronuncia il suo ultimo discorso. Lo pronuncia nel palazzo presidenziale La Moneda, circondato e bombardato dai caccia Hawker Hunter. Il colpo militare è guidato da generale Augusto Pinochet Ugarte, comandante in capo dell’Esercito Cileno. Inizia così la sanguinosa dittatura militare che rovescia il Governo Socialista e che porterà a milioni di desaparecidos. Cile 50, viaggio attraverso il golpe, è lo speciale di Vanloon sull’11 settembre 1973, in onda sui 103.1 FM di Radio Città Fujiko. Sono passati 50 anni ma l’eredità della dittatura non si è conclusa con la fine formale del Regime del 1990. Le voci dei protagonisti, la cronaca, le interviste, i giornali per raccontare, ricordare e riflettere, in podcast su www. radiovanloon. info e su tutte le piattaforme.
Redazione Vanloon: Alle 7 del mattino dell’11 settembre 1973, tutte le reti televisive e radiofoniche del Cile interrompono le trasmissioni. Ancora nessuno lo sa, ma non si tratta di un guasto. Sono le truppe della Marina Militare che hanno occupato le stazioni trasmittenti di Valparaiso. È l’inizio del golpe.
Redazione Vanloon: Fino alla mattina dell’11 settembre in Cile vi è la diffusa convinzione che un’escalation della violenza sia imminente e che quindi possa esserci la necessità di prepararsi anche alla lotta armata. Nessuno però si aspetta che possa realizzarsi un colpo di stato da parte dell’Esercito. Il primo a pensarlo è Salvador Allende, il presidente della Repubblica eletto nel 1970. Questo, malgrado il Governo Di Sinistra da lui presieduto, avesse attraversato tre anni di vita piuttosto tumultuosa, fra cui addirittura un tentativo di colpo di Stato militare nel giugno precedente. Ma Allende ha ricevuto rassicurazioni e dichiarazioni di fedeltà proprio da parte di Pinochet, da poco nominato capo di Stato Maggiore dell’Esercito Cileno.
Redazione Vanloon: L’idea che il Governo Socialista non verrà rovesciato dai militari è condivisa anche dai tanti militanti di base che stanno partecipando a questa fase di intensa mobilitazione politica, come sentiremo dalle voci che ci accompagneranno in questa puntata. Così racconta quel momento Rebecca Leal Lopez, esule cilena Parma, all’epoca studentessa universitaria e militante della gioventù comunista di Santiago. Rebecca è stata intervistata per il documentario di Andrea Cossu, Martina Rossetti e Lorenzo Tore “Una questione di solidarietà, storie di esuli cileni”, realizzato nel 2023 dal Centro Studi Movimenti di Parma.
REBECCA LEAL LOPEZ: Su eventuali avvisaglie che c’erano del colpo di Stato, sì, fin dall’inizio perché sapevamo che la destra non avrebbe mai rinunciato, la destra e gli americani non avrebbero mai rinunciato alle loro ricchezze. Era stato fatto durante la campagna elettorale, appunto, basata sul fatto che ti prenderanno quello che hai, eccetera, eccetera, quindi era molto marcato. La nascita di movimenti marcatamente fascisti si aspettava una reazione, forse non tanto come partito dalle forze armate, bensì una specie, quasi di guerra civile, cioè gruppi di destra contro gruppi di sinistra. E questo era tutti i giorni, attentati, scioperi dei trasporti e occupazione delle scuole, per evitare che si potesse andare avanti e avere uno svolgimento normale, quello che si ha cercato sempre di creare è una situazione, una sensazione di instabilità del paese, che è un governo incapace di gestire determinate cose. Quindi si aspettavano queste reazioni, un po’ si sono abbassate da un primo tentativo di colpo di Stato fatto a giugno del 1973, in cui non si è unito l’esercito, non si sono unite tutte le forze armate. Questo ci ha fatto abbassare un po’ la guardia, nonostante tutto noi continuavamo ad avere determinati livelli di guardia, ascoltare la radio, sentire determinate canzoni, eccetera, eccetera. Avere già un po’ diversi posti dove poter andare via se succedeva qualcosa. Era una preparazione, non dico di tipo militare, però almeno di poter riuscire a entrare in clandestinità senza grossi, senza grossi problemi. Però sì, questi sentori, come si dice a Parma, c’erano quotidianamente.
Redazione Vanloon: Mentre a Santiago l’Esercito occupa le sedi della radio e della televisione e inizia a seminare il centro della città di blocchi stradali, Salvador Allende è ancora convinto che i golpisti siano pochi e disorganizzati. Ma Pinochet non risponde più al telefono, come non rispondono i suoi colleghi della Marina e dell’Aviazione. Mezz’ora dopo, un comunicato rilasciato dai militari a reti unificate scioglie ogni dubbio. Tutte le forze armate stanno partecipando al golpe, Allende non può sperare in nessun aiuto da parte degli uomini di Pinochet.
Redazione Vanloon: Armati fino ai denti e decisi a resistere. Ma anche se un primo assalto dei militari viene respinto, Allende sa che non c’è nessuna possibilità di resistenza. Sa che il comandante dell’Aviazione ha dato l’ordine di bombardare il palazzo con i cacciabombardieri, sa che i reparti corazzati di Pinochet sono già schierati nelle vie attorno alla Moneda.
REBECCA LEAL LOPEZ: L’11 settembre, anche nei giorni precedenti, noi ascoltavamo molto determinate radio per poter avere, appunto, questi segnali se stava accadendo qualcosa. Sempre contenti, abbiamo passato la nottata proprio, siamo andati avanti, abbiamo superato anche questa, Ci siamo svegliati in una giornata grigia, Santiago proprio color piombo, quasi malaugurale proprio. E dopo verso le otto e mezza, nove, si comincia a sentire che a Valparaiso erano accadute determinate cose. Mia madre è andata alla sede del partito con mia sorella che in quell’allora aveva 13 anni. Io sono andata in una scuola perché facevo parte della direzione del movimento studentesco della gioventù comunista e abbiamo cominciato ad aspettare istruzioni, che non sono mai arrivate. Si comincia a vedere che non circolano più gli autobus. Un po’ la città comincia a spegnersi da un momento all’altro. La cosa terribile è stata quando abbiamo visto passare gli aerei che andavano a bombardare La Moneda. Mi ricordo di essere salita sul tetto del liceo dove ci eravamo radunati e aver visto il fumo nero. A quel punto lì il morale è finito. Ci siamo guardati tutti e abbiamo detto ragazzi ognuno ha le proprie case di sicurezza. Sono partita con, eravamo in quattro, due maschi, due femmine, a una casa che non mi ricordo nemmeno dov’era. Perché poi uno cercava di scordarsi di dove era stato per non mettere in pericolo nessuno. Lì si è stati due giorni nascosti.
Redazione Vanloon: Il presidente rivolge un ultimo appello radio al popolo cileno dalla Moneda assediata. Un estratto lo avete sentito anche nella sigla della puntata. Poi congeda ai suoi sostenitori e rimane solo nel suo ufficio. Non ne uscirà vivo.
Redazione Vanloon: Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori, non rinuncerò. Trovandomi in questa tappa della storia pagherò con la vita la lealtà al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di cileni non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermeranno né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli.
Redazione Vanloon: È la tarda mattinata dell’11 settembre 1973 e la via cilena al socialismo è stata stroncata dal più famoso e famigerato golpe militare del ‘900.
Redazione Vanloon: Iniziano gli arresti e la repressione contro tutti quelli che sono sospettati di essere militanti di sinistra o anche di essere soltanto dei simpatizzanti. Addirittura vengono arrestati anche donne e uomini solo per il fatto di essere operai o di abitare in una poblation, i quartieri popolari. Fra gli arrestati di quel giorno c’è anche Paolo Utter che viene rinchiuso nello stadio di Santiago Del Cile. Paolo Utter, giornalista e attivista, nel 1973 è a Santiago come membro di una delegazione di militanti di sinistra europei. In quei giorni scrive delle corrispondenze per il giornale Lotta Continua, raccolto nel 2004 assieme ad altre ricordi ed esperienze nel paese sudamericano in Diario dal Cile, 1973-2003, edito dal saggiatore.
PAOLO UTTER: La mia esperienza diretta come prigioniero è stata poca cosa rispetto alle sofferenze di molti altri. Sono stato tre settimane nello stadio trasformato in una specie di campo di concentramento. Per fortuna io non sono stato torturato ma, forse perché tendenzialmente almeno gli europei cercavano di mandarli via più che di farne delle vittime. Ho potuto constatare direttamente di persona, ancora giorni dopo aver preso il potere, i militari cileni fossero spaventati che ci potesse essere una controreazione. E quindi erano estremamente intimidatori, estremamente intimidatori, proprio perché secondo me s’erano messi in testa che ci potesse essere una guerra civile, c’era molto odio.
Redazione Vanloon: Se Paolo Gutter riuscirà in quanto cittadino italiano a rientrare presto in patria, per tanti cileni si aprono invece mesi di profonda difficoltà e di paura.
REBECCA LEAL LOPEZ: Si sapeva che avevano già fucilato molte persone quindi, chi forse prima aveva generosamente offerto la propria casa, pensando che sarebbe stata una cosa leggera, ovviamente ha cominciato un po’ a tirare il remi in barca, signori, è stato un piacere, però non me la sento. Mi ricordo di essere andata a casa di una mia zia con un compagno. Anche lì siamo stati due giorni perché non si sapeva se uno poteva tornare a casa o meno. E il terzo giorno mia zia mi chiama e mi dice, tesoro, tu puoi stare, ma lui no, perché se tu stai qua, arriva la Polizia, io ho una ragione per tenerti sei mia nipote, ma quello lì non so chi sia. E così abbiamo girato per quasi una settimana in diversi posti, fin quando abbiamo guardato se si poteva tornare a casa e io sono tornata lì. Lì sono venuta a sapere che l’11 settembre mia madre era nella sede del Partito Comunista e la dirigente l’ha guardata e le ha detto non è il posto dove tenere dei bambini e l’ha mandata via e lei andò a casa di suo padre. Quella compagna lì è la famosa Marta Contreras che è stata uccisa e lanciata legata a un binario, a un pezzo di binario, al mare da un elicottero. Sono ricordi vivi, vedi le persone, vedi tutto e dici che grandi persone, tutto lì.
Redazione Vanloon: Rebecca Leal prende poi la strada dell’esilio come altre centinaia di migliaia di suoi concittadini. Militanti di sinistra, democratici, operai e contadini, docenti universitari, intellettuali e artisti. 260.000, forse addirittura 400.000 cileni che cercano la salvezza o che vengono condannati all’espulsione e a cui viene fatto di vieto di rientrare in patria. Il 2,38% di questi cileni in fuga arriverà in Italia, fra le 2 e le 3.000 persone soltanto, attraverso l’Ambasciata Italiana di Santiago. La comunità cilena è stata quella che ha ricevuto la migliore accoglienza tra tutti i popoli esiliati latinoamericani, molto probabilmente in ragione del legame simbolico che l’Italia aveva creato con l’esperienza cilena.
REBECCA LEAL LOPEZ: Arriviamo in Piazzale Marsala dove abitava mio padre con mio fratello. Anche lì un’altra impressione, un’emozione enorme, perché loro avevano ovviamente la casa tenuta da due maschi scapoloni. Mio padre aveva rubato le chiavi, i compagni della sezione del partito del comune, avevano rubato le chiavi e le avevano ammobiliate completamente, messo letti, pentole, piatti, tutto, tutto possibile immaginabile, la cena pronta sul tavolo. E lì te ne rendi conto che, a differenza di adesso, la solidarietà in quel momento era dare quello che avevi, non quello che ti avanzava, come succede adesso. Almeno io sento quella differenza, che sono due cose completamente diverse. Vedevamo proprio dopo, chiacchierando, abbiamo fatto amicizia, sì perché questo era del mio corredo, questi erano i piatti che erano di mia mamma, e uno diceva cos’è tutto questo affetto per della gente che non conosci, anche perché scopri la solidarietà non tanto quando la dai, ma quando la ricevi. Te ne rendi conto, di cose che probabilmente tu non pensi quando sei solidale con qualcuno e invece ha delle sfumature che cogli quando sei te, quello aiutato. Quindi è stata una cosa molto emozionante, ci hanno lasciato il tempo per stare in famiglia, visto che era un anno e passa che non ci vedevamo, e dopo due o tre giorni hanno cominciato i giri, ti porto qui, ti faccio conoscere questo. Una delle cose che mi diverte di più e che mi ricordo è che una delle prime cose che mi hanno fatto conoscere a Parma è stata questa pasticceria che c’era in piazza, quella pasticceria storica, allora vai a prendere la cioccolata con la panna e le paste, era proprio un avvolgere completamente, come se fossero delle robe preziose proprio. Questo è stato il sentimento che ho provato io quando siamo arrivate qua.
Redazione Vanloon: “Il ciclo di profondi cambiamenti del Governo Allende fu una sfida che un sistema impotente e in crisi non riuscì a sopportare. La violenta boccata d’ossigeno della libertà risultò fulminante e la guardia pretoriana fu chiamata per ripristinare l’ordine, il piano di pulizia e un piano di sterminio”. Edoardo Galeano, le vene aperte dell’America Latina.
Redazione Vanloon: Cile 50, viaggio attraverso il golpe, è uno speciale realizzato dalla redazione di Vanloon in onda sulla città Fujiko per il 50° anniversario del colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973.