Redazione Vanloon: L’11 settembre 1973 Salvatore Allende pronuncia il suo ultimo discorso. Lo pronuncia nel palazzo presidenziale La Moneda, circondato e bombardato dai caccia Hawker Hunter. Il colpo militare è guidato da generale Augusto Pinochet Ugarte, comandante in capo dell’Esercito Cileno. Inizia così la sanguinosa dittatura militare che rovescia il Governo Socialista e che porterà a milioni di desaparecidos. Cile 50, viaggio attraverso il golpe, è lo speciale di Vanloon sull’11 settembre 1973, in onda sui 103.1 FM di Radio Città Fujiko. Sono passati 50 anni ma l’eredità della dittatura non si è conclusa con la fine formale del Regime del 1990. Le voci dei protagonisti, la cronaca, le interviste, i giornali per raccontare, ricordare e riflettere, in podcast su www. radiovanloon. info e su tutte le piattaforme.
Redazione Vanloon: Il Cile di Pinochet è stata una dittatura militare che ha costruito il suo potere sulla paura e sulla sistematica violazione dei diritti umani, sulle torture e sulle sparizioni degli oppositori. È però stato anche il laboratorio del neoliberismo. Ne parliamo con Roberto Ventresca, amico di Vanloon e docente di storia internazionale all’Università Di Bologna.
ROBERTO VENTRESCA: Da un punto di vista delle relazioni internazionali del ‘900, il Cile ha sicuramente rappresentato il primo vero e proprio laboratorio neoliberista a livello globale. Questo per lo meno da un punto di vista cronologico. Tutte o quasi le storie del neoliberismo, da quella più più famosa di David Harvey pubblicata nel 2005, considerano l’esperimento neoliberale della dittatura di Pinochet, il primo vero e proprio contesto nel quale politiche di ispirazione radicalmente neoliberale vennero esplicitamente e programmaticamente adottate all’interno di un contesto nazionale. Ovviamente la specificità del caso cileno consiste nel fatto che questo esperimento prese corpo all’interno di un contesto dittatoriale seguito ovviamente alla creazione e organizzazione di un golpe militare a sua volta organizzato e mobilitato contro l’esperienza socialista di Allende. Sappiamo bene che l’esperienza del Governo socialista di Allende costituiva agli occhi degli Stati Uniti e di una componente abbastanza consistente dell’establishment occidentale, una minaccia vera e propria. Un presidente di orientamento socialista democraticamente eletto poteva rappresentare una minaccia a livello globale per gli interessi degli Stati Uniti e in generale per le logiche della distensione bipolare che in quella fase della guerra fredda si stavano sviluppando. A sua volta l’esperimento neoliberale della destra conservatrice cilena rappresentò un trauma e al contempo una carta, una forma di successo che il regime tentò di vendere a livello internazionale. Perché? Perché ovviamente il Governo e la dittatura erano ben consapevoli delle difficoltà che il paese stava incontrando sul piano delle relazioni diplomatiche nazionali a causa della sistematica violazione dei diritti umani che veniva perpetrata all’interno del paese sud-americano.
ROBERTO VENTRESCA: Il cosiddetto successo economico che il Chile visse, grosso modo tra il ’75-’76 e l’82, dopo il quale vi fu una fortissima contrazione economica dovuta alla crisi internazionale del debito che colpì anche gli interessi economici cileni, e una seconda fase, un secondo ciclo di espansione economica che si registrò grosso modo tra l’83 e l’88, rappresentarono per la giunta militare cilena il biglietto da visita con il quale i militari tentarono, con scarso successo, di vendere l’immagine di un Cile dove non vigeva una democrazia, non venivano rispettati i diritti umani ma dove purtuttavia si poteva registrare una forma di crescita economica che tuttavia risultava tale prevalentemente sulla carta. Certo gli indici del PIL conobbero in quelle due fasi che ho citato, una espansione significativa, l’inflazione per certi versi venne domata, ma proprio perché questa crisi economica seguiva una logica, diremmo così oggi, di natura neoliberale, il risultato di queste politiche fu il radicale aggravarsi delle disuguaglianze interne all’interno del paese. La divaricazione sociale che si registrò all’interno della società cilena crede in termini di disuguaglianze, quindi divaricazione di reddito in maniera drammatica nel corso della esperienza dittatoriale cilena. Diciamo che da un punto di vista prettamente economico sappiamo che il neoliberismo cileno, le riforme economiche neoliberali cilene vennero concretamente pensate, elaborate e attuate da un gruppo di economisti cileni formatisi nel dipartimento di economia di Chicago, i cosiddetti Chicago Boys. I quali costituirono il frutto più maturo di un rapporto, di uno scambio, anzitutto accademico e poi eminentemente politico, tra alcuni circoli accademico-conservatori cileni, nello specifico l’Università Cattolica di Santiago e il Dipartimento Di Economia di Chicago, dove in quegli anni dominava la figura di Milton Friedman. La specificità del contesto cileno si caratterizzò da un lato per la radicalità e violenza, con la quale vennero adottate forme di liberalizzazione e privatizzazione di servizi precedentemente gestiti dallo Stato. Ricordiamo che veniva da un triennio di nazionalizzazioni o comunque di forte estensione della presenza dello Stato in economia per via delle politiche promosse dal Governo Allende. Una specificità per esempio del caso cileno fu che cosa? La decisione dell’Aggiunta Militare di privatizzare il privatizzabile ad eccezione, guarda caso, della principale risorsa economica di esportazione del paese, cioè il rame. Il rame non venne ad esempio liberalizzato, proprio perché lo si riteneva un settore strategico per la tenuta del bilancio dello Stato. Questo a significare che quanto anche più radicali tra i neoliberali o neoliberisti riescano a fare professione di pragmatismo quando risulta necessario per preservare determinati interessi economici o logiche politiche.
Redazione Vanloon: Il supporto di CIA e Governo Statunitense, allora presieduto da Nixon, sono noti e ormai ampiamente provati. Ma perché? Cosa rappresenta il Cile per l’America Latina di allora? Ce lo spiega Giorgio Tinelli, docente dell’Università Di Genova e studioso dell’America Latina, nonché voce di Radio Città Fujiko.
GIORGIO TINELLI: Il golpe in Cile ha in America Latina ha significato molto. Quella che era “l’operazione Condor” ovverosia una diffusione di una serie di dati tra vari regimi autoritari militari ha una data fondamentale proprio in questo golpe che ha portato a una riconsiderazione, soprattutto in Cile, che era un esempio di una transizione in senso democratico con il primo vero e proprio presidente di chiara impostazione marxista che arrivava alla presidenza attraverso delle elezioni libere. Questo è stato un colpo forte a tutta una serie di distanze di passioni un po’ diffuse in tutto il continente latinoamericano in questa epoca che dava molta speranza in qualche maniera in piena guerra fredda alla possibilità di una via civica, diciamo così, che potesse in qualche modo lanciare una stagione su tutto il continente di nuova novità, diciamo così, dal punto di vista della gestione dello Stato da parte di transizioni politiche che è però poi un colpo mortale in questa, soprattutto nella vicenda politica del Cile, ma in questo anche a livello continentale. Per cui questa istanza, diciamo così, diffusa un po’ in tutto il continente e una forte battuta di arresto.
Redazione Vanloon: L’operato degli Stati Uniti avviene però in un paese già radicalmente diviso e con una propria eredità politica. Non c’è solo l’anima marxista e socialista in Cile, ma anche una forte compagine democristiana, similissima a quella italiana, che tra l’altro aveva vinto le elezioni precedenti con Eduardo Frei. C’è poi una tradizione conservatrice, reazionaria e corporativista. È a queste ultime forze che gli Stati Uniti si appoggiano.
ROBERTO VENTRESCA: Dobbiamo sempre ricordare come l’opzione neoliberale non rappresentò la prima scelta del Governo cileno dittatoriale, una volta abbattuto il Governo di Allende, nel senso che tra il 73 e il 75 vi fu una fase di transizione dove prevalsero, da un punto di vista prevalentemente economico, opzioni conservatrici o restauratrici, si voleva restaurare lo status precedente, ma non necessariamente realizzare un progetto di radicale neoliberalizzazione o liberalizzazione dell’economia cilena, cosa che invece rappresentò una rottura rispetto alla tradizione economica del paese sudamericano. I Chicago Boys da un lato rappresentavano un elemento culturalmente esogeno rispetto alla tradizione economica, intellettuale cilena, proprio anche a causa dell’esperienza di crescita e formazione che buona parte di essi ha sviluppato nel contesto statunitense. Dall’altro lato i Chicago Boys incrociarono e incontrarono dialetticamente un’altra componente del conservatorismo politico, culturale e anche economico cileno, che è il gremialismo, una sorta di dottrina corporativa inizialmente caratterizzata da elementi di forte tradizionalismo, ma che successivamente grazie all’opera di uno dei più importanti intellettuali gremialisti del periodo, Jaime Guzmán, conobbe una torsione liberale/neoliberale e che rappresentò per l’appunto il punto di contatto con i Chicago Boys intorno al tema della proprietà privata considerata non più come una tradizione diciamo così per l’appunto corporativa cilena un elemento di carattere relazionale quanto un elemento di carattere prettamente individuale. Se si vuole la specificità appunto dell’esperimento neoliberale cileno in questa coniugazione di autoritarismo e neoliberismo trova una sua ulteriore identificazione al concetto di democrazia protetta, che è esattamente l’asse concettuale che guida anche le riforme istituzionali di Pinochet, il quale dalla costituzione del 1980 prevede un percorso che sarebbe poi sviluppato fino al plebiscito dell’88, all’interno del quale immagina e per l’appunto programma una lenta, graduale, per l’appunto protetta, nuova transizione verso una qualche forma di democrazia, tra virgolette, che comunque non avrebbe mai potuto e dovuto minacciare o intaccare la logica mercatista intorno alla quale era stata ripensata non soltanto l’economia cilena, ma l’assetto istituzionale e politico del paese.
Redazione Vanloon: La Costituzione del 1980 detta le norme di questa democrazia protetta, che di fatto istituzionalizza il regime autoritario. Tra queste regole c’è la necessità di indire un plebiscito nazionale per far decidere ai cileni se conferire ad Augusto Pinochet altri otto anni di mandato. Il plebiscito si tiene nell’ottobre del 1988. Vince il no, con il 56% dei voti e un’affluenza dell’88%, è così che in Cile si è avviata la transizione democratica.
Redazione Vanloon: E qual è l’eredità di tutto questo oggi in Cile? Un anno fa è stata bocciata da un referendum la nuova carta costituzionale, voluta da un Governo e da una maggioranza parlamentare di sinistra, che si faceva portatore delle proteste di chi si voleva lasciare alle spalle la dittatura militare. C’è in questa bocciatura un legame con il passato Regime e nel Cile di oggi? Risponde sempre Giorgio Tinelli.
GIORGIO TINELLI: Io credo che sia estremamente valida la teoria del cosiddetto enclave totalitario, che è di un sociologo e politologo Emanuele Antonio Carriton che proprio in durante il periodo della transizione ha incoraggiato un po’ nei processi di apertura democratica che c’erano stati nella regione, sulla scia appunto della crisi economica del 1983, lanciò questa teoria. Allora dopo il plebiscito del 5 ottobre 1988 l’ipotesi era che appunto la transizione ci sarebbe stata negli anni a seguire ma che sarebbe stata comunque incompleta e che avrebbe lasciato in questo senso non solo i problemi di consolidamento democratico, ma anche problemi propri di una vera e propria transizione che sarebbero persistiti in qualche maniera sotto forma di enclaves autoritari, ci possono essere delle eredità autoritarie in un contesto democratico che eliminano da dentro il cambiamento e quindi il consolidamento democratico. Delle bolle, delle zone, che il governo militare ha conservato nella ritirata, inaspettata, perché poi effettivamente non si aspettavano un successo così netto nel referendum dell’88 effettivamente poi avrebbero un anno di tempo, un anno e mezzo di tempo per creare una serie di appunto di enclaves autoritario che in qualche maniera hanno a che fare con varie dimensioni. La prima dimensione è il marco istituzionale della Costituzione del 1980, poi per gli attori con la bassa predisposizione al gioco democratico, ovverosia le forze armate, la immarcescibile oligarchia e i pochi partiti di riferimento e quindi anche i gruppi imprenditoriali, quelli più importanti che avevano sorretto la dittatura del generale Pinochet e poi un terzo elemento che è stato quello della risoluzione di una domanda etica relativa alle violazioni dei diritti umani, quindi un fattore istituzionale, un fattore attoriale proprio nel sistema politico cileno e un fattore etico simbolico. In questi tre ambiti gli militari e tutti quanti gli attori di questo lungo periodo di dittatura autoritarismo militare hanno lasciato all’interno del sistema l’enclave autoritario, che si fa fatica indubbiamente a sciogliere
Redazione Vanloon: E qual è il rapporto di oggi del popolo cileno con quella memoria e quella storia a 50 anni dal colpo di Stato? Lasciamo la parola a Paolo Utter, giornalista e attivista che nel 2004 ha pubblicato Diario del Cile, 1973-2003, edito dal saggiatore.
PAOLO UTTER: Oggi siamo in una situazione, perché è diverso e allucinante, però bisogna anche fare i conti con la realtà che stiamo vivendo, in cui il Cile alle ultimissime elezioni dell’assemblea costituente, ha avuto la maggioranza relativa, un partito di destra radicale, che si richiama, non dico che si dichiari erede di Pinochet perché non gli serve, non gli conviene, però si richiama sostanzialmente al pinochetismo e incredibilmente ha avuto la maggioranza relativa, sto parlando di pochi mesi fa e proprio in questi giorni si è aperto un dibattito perché un giornalista che tra l’altro conosco personalmente, di sinistra, secondo me di sinistra ha detto: “Bhe io posso capire che ci fosse chi giustificava il colpo di Stato perché era un momento di grande confusione. Quello che è assolutamente intollerabile è che ci siano delle forze politiche che ancora nel 1989, nel 1990, quindi 17 anni dopo la presa del potere da parte di Pinochet, avrebbero voluto che continuassero il suo regime.” Questa osservazione, questa considerazione, Patrizio Fernandez si chiama, l’ha fatta per dare contro alla destra attuale, ma questa affermazione è stata interpretata invece da alcune organizzazioni delle vittime del colpo di Stato, quasi come giustificazionista nei confronti del colpo di stato e quindi si è creata tutta una polemica che ha portato per il momento al fatto che Patrizio Fernandez, che era incaricato dal Governo di coordinare la celebrazione del cinquantesimo, ha rassegnato le sue dimissioni.
Redazione Vanloon: Recente è stata a Santiago, racconta che la città porta ancora i segni dell’estadio sociale alla grande ondata di proteste del 2019. Tanti negozi sono chiusi, alcuni palazzi sono bruciati e il dibattito pubblico è polarizzato. La storia e la memoria sono diventati un terreno di scontro politico. La destra, grazie a dei media conservatori e compiacenti, spinge i cittadini cileni a guardare al passato con il desiderio d’ordine del presente. I militari vengono presentati come i fautori del ritorno alla calma e alla prosperità. La sinistra è quella che devasta le città e fomenta l’odio sociale. Per questo motivo si urla all’oblio sulle atrocità che avrebbe commesso il Governo di unità del popolare, paragonabili a quelle dei militari, se poi, dicono loro, ne hanno veramente compiuti. Secondo molti opinionisti e politici di destra, ad esempio, gli stupri subiti dalle donne imprigionate altro non sarebbero che una leggenda metropolitana gonfiata d’arte. Qualcuno ha organizzato addirittura dei presidi di fronte alle caserme per celebrare i 50 anni non del golpe ma della liberazione dal socialismo. La mattina dell’11 settembre si è svolta la commemorazione ufficiale con un minuto di silenzio alle 11.52, l’ora in cui era iniziato il bombardamento della Moneda. A chiudere la cerimonia è Steglia De Carlotto, presidente delle nonne di Plaza De Mayo, che ha invitato a seguire, così ha detto, le parole eterni di memoria, verità e giustizia. La destra non era presente. Non siamo disposti a partecipare a eventi che creino ulteriore divisione. Del resto, la destra sa di poter contare su un forte consenso nell’opinione pubblica. Sembra che il 36% dei cileni ritenga che i militari avessero ragione a rovesciare il Governo di Allende e che Pinochet abbia liberato il Cile dal marxismo. Dieci anni fa erano solo il 16%. Per capire che Aria si sia respirata in Cile nei giorni dell’anniversario abbiamo chiesto a diversi amici di Vanloon, che hanno contatti e relazioni con il paese sudamericano, di mandarci qualche impressione a caldo. Per Veronica, attrice teatrale che spesso ha visitato il paese sudamericano, sono state le piazze a far vivere il vero ricordo dell’11 settembre 1973. Iniziative nei quartieri, presidi e cortei nel grande corteo unitario della sinistra c’è stata, così ha raccontato Veronica una felice rivendicazione del passato un lungo corteo organizzato in spezzoni identitarie e professionali ad esempio la comunità LGBT, gli attori, gli operatori televisivi dello spettacolo, le comunità originarie assieme ai sindacati e partite della sinistra ciascuno con le proprie parole d’ordine la propria memoria di atti di resistenza al Regime e il proprio ricordo di persone desaparecide e uccise È su questa linea che diversi gruppi e coordinamenti femministi a Concepción hanno organizzato un presidio specifico di fronte al Palazzo Dei Tribunali Di Giustizia per ricordare le donne sequestrate e assassinate e fatte scomparire durante la dittatura. Sempre Veronica ci ha riportato la posizione delle comunità dei popoli originari sull’11 settembre. La comunità Mapuche del territorio occupato di Gualmapu ha dichiarato pubblicamente che se si vuole veramente chiudere con l’11 settembre e con l’eredità dei militari, occorre ricordarsi dei loro territori ancora sotto occupazione, in quanto lì i militari sono ancora al potere e organizzano la repressione.
Redazione Vanloon: “Il ciclo di profondi cambiamenti del Governo Allende fu una sfida che un sistema impotente e in crisi non riuscì a sopportare. La violenta boccata d’ossigeno della libertà risultò fulminante e la guardia pretoriana fu chiamata per ripristinare l’ordine, il piano di pulizia e un piano di sterminio”. Edoardo Galeano, le vene aperte dell’America Latina.
Redazione Vanloon: Cile 50, viaggio attraverso il golpe, è uno speciale realizzato dalla redazione di Vanloon in onda sulla città Fujiko per il 50° anniversario del colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973.