Far fluire la vita quotidiana, i gesti più elementari e gratuiti, nelle operazioni artistiche. Era questa l’idea con cui Antonio Vandrè Pioli, artista reggiano e conosciuto come “Wandrè”, creava chitarre e bassi nella sua fabbrica a Cavriago. Ed è alla sua produzione che è stata dedicata la mostra “Wandrè. La chitarra del futuro” allestita al Museo internazionale della musica e accessibile, gratuitamente, al pubblico dall’ 11 maggio all’ 8 settembre. Il motivo? Far conoscere una figura poliedrica che negli anni ’50 rivoluzionò il modo di concepire lo strumento musicale e che è rimasta per molto tempo misconosciuta nel Paese. Oggi lo si ricorda a vent’anni dalla sua scomparsa.

Artigiano, ma anche attore, partigiano, caporedattore, capomastro, fashion designer e imprenditore. Aprì nel 1957 la prima fabbrica italiana di chitarre e bassi elettrici da cui provenivano gli strumenti che poi sono appartenuti a grandi star della musica internazionale: Frank Zappa, Buddy Miller, Johnny Depp e Sean Taro Ono Lennon, figlio di John. Ma anche artisti indigeni tra i quali Adriano Celentano e Francesco Guccini.

“Wandrè. La chitarra del futuro” la mostra al Museo internazionale della musica

«”Un genio assoluto” lo definì, quindici anni fa, il pittore Pablo Echaurren», ha detto Marco Ballestri, curatore dell’esposizione e membro del gruppo di appassionati, i Partigiani di Wandrè. «Liutaio “venerato all’estero, misconosciuto in Italia”. Ogni suo pezzo era unico e realizzato per rendere al meglio la personalità del suo musicista». Chi era dunque Antonio Vandrè Pioli? Nato in un piccolo comune reggiano, dopo aver militato come partigiano e aver lavorato per dieci anni nel settore edile, si avvicinò all’arte liutaia. Alla fine degli anni ’50, aderendo completamente all’idea di arte del movimento Fluxus, fondò la prima fabbrica di chitarre e bassi elettrici in Italia.

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Per lui l’arte era il prodotto dell’unione tra design, necessità quotidiane e originalità. Ogni sua creazione aveva un’anima ed era unica. «Soffriva nel vedere uscire dalla sua fabbrica le chitarre in serie. Le voleva uniche», ha precisato Ballestri. «Era uno spirito inquieto e trasgressivo e questo si rifletteva anche nelle sue chitarre per le quali superò ogni canone seguito fino ad allora per la loro produzione. Introdusse nuovi colori, materiali innovativi come la plastica e forme atipiche. E arricchì le sue opere con un linguaggio simbolico che evocava la contemporaneità sociale, politica e amorosa. Applicò per la prima volta il piano armonico concavo, le bombature asimmetriche e i ponticelli con le corde spesse. Chitarre e bassi divennero vere e proprie “sculture fruibili per musica”». «Per questo e per la loro leggerezza sono molto amate dalle star della musica internazionale», ha spiegato Oderso Rubini produttore discografico e musicista che ha avuto l’idea di realizzare la mostra “Wandrè. La chitarra del futuro”. «Frank Zappa aveva due Wandrè, un modello Scarabeo e un Oval. Ace Frehley dei Kiss, usò un Bikini durante il tour del 1981. Johnny Depp omaggiò l’amico Joe Perry con una Brigitte Bardot di colore blu nassau, che riconobbe come “la chitarra perfetta per il blues”. Ma anche artisti indigeni, come Adriano Celentano e Francesco Guccini, furono conquistati dalle Wandrè. Tra gli estimatori anche Federico Poggillini, chitarrista di Ligabue, e il compositore e polistrumentista Massimo Martellotta».

In sala sono esposte oltre cinquanta pezzi, tra chitarre, bassi e contrabbassi. Il programma propone una serie di incontri collaterali per approfondire la figura di Vandrè.

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