Che il diritto alla casa a Bologna e in altre città sia sempre più compromesso dall’esplosione degli affitti brevi turistici ormai è assodato. Oltre a sottrarre case per le locazioni lunghe, gli Airbnb e simili hanno drogato il mercato immobiliare provocando quasi il raddoppio dei prezzi degli affitti in appena dieci anni.
Il fenomeno, però, non accenna a rallentare e l’assenza di una regolamentazione serie a livello nazionale favorisce le speculazioni. Di queste ultime, solo la punta dell’iceberg finisce sulle cronache giornalistiche, come nel caso del condominio di via Michelino a Bologna dove tutti gli inquilini sono sotto sfratto perché la nuova proprietà vuole trasformare gli alloggi in Airbnb.
Gli inquilini di un intero condominio sotto sfratto per trasformarlo in Airbnb
In realtà a Bologna esistono già altri condomini interamente trasformati in Airbnb. Ne aveva segnalato uno in via Irnerio il ricercatore Mattia Fiore, dottorando in Sociologia dell’ambiente e del territorio, mostrando l’emblematica fotografia dei campanelli, tutta costellata dai loghi della celebre piattaforma per le locazioni turistiche brevi.
Al di là dei casi eclatanti che coinvolgono interi stabili, però, non ci sono stime sulle tantissime persone che, alla scadenza del contratto di affitto, vanno incontro al rifiuto da parte della proprietà di rinnovarlo. Spesso vengono addotti pretesti che in realtà nascondono la volontà di trasformare l’alloggio in una più remunerativa attività ricettiva per turisti.
Come è noto, a Bologna, gli annunci di alloggi per la locazione breve turistica su Airbnb si aggira intorno alle 5mila unità. Un dato diverso da quello fornito dall’Associazione italiana gestori affitti brevi (Aigab), secondo la cui mappatura – che ha incrociato dati Istat, Inside Airbnb e AirDna – gli appartamenti destinati a quello scopo sarebbero la metà, cioè 2.454, e oltretutto in calo negli ultimi mesi.
Assai più emblematico, però, è il dato fornito dall’Amministrazione comunale, in particolare dalla vicesindaca con delega alla Casa Emily Clancy, che nel question time di venerdì scorso ha fatto sapere che «in assenza di regole, negli ultimi anni si è registrato un +383% di alloggi nel settore extra alberghiero, che ha avuto un impatto significativo nel sistema abitativo».
La scomparsa degli alloggi a canone concordato
L’impatto, come dicevamo, non è solo sul numero degli alloggi disponibili per gli affitti tradizionali, ma anche sull’intero mercato della locazione. Molto chiaro, infatti, è il dato sulla contrazione del numero di alloggi a canone concordato, riportato sempre da Clancy: «nell’ultima rilevazione del 2024, molto recente ancorché provvisoria, a Bologna si sono contati circa 24.800 alloggi locati a canone concordato, contro i 29.500 circa del 2019. Dunque sono spariti circa 5mila alloggi dal mercato degli affitti tradizionali».
Nonostante ciò, Aigab ha impugnato al Tar le nuove disposizioni del regolamento edilizio, introdotte nel 2024, che comportano una metratura minima di 50 metri quadrati per poter mettere il proprio alloggio in affitto breve e la categoria B3 per attività turistica svolta in unità immobiliari a destinazione abitativa.
«Osservando queste dinamiche, io le leggo attraverso un processo di professionalizzazione di quello che è il business dei b&b in città – commenta ai nostri microfoni Fiore – Già durante la pandemia abbiamo visto la proliferazione degli intermediari, delle società di gestione degli alloggi destinati ad affitti turistici. E queste società hanno anche una maggiore capacità di lobbing, dal momento che hanno impugnato al Tar la modifica al regolamento edilizio».
Secondo Fiore in questo senso il Comune di Bologna si sta muovendo bene per quanto riguarda la mappatura dei b&b attraverso il cambio di destinazione d’uso degli alloggi, anche se in maniera tardiva. «Si tratta della prima misura di una serie che dovrebbe andare nell’ottica di una regolamentazione del numero di Airbnb che possono essere aperti in determinate zone e del grado di professionalizzazione».
ASCOLTA L’INTERVISTA A MATTIA FIORE: