Oggi è il 20 aprile e, se qualcuno non lo sapesse, è la giornata mondiale della marijuana: 420, acronimo di questa data secondo il sistema americano, è il termine con cui sono sdoganate e riconosciute le culture legate al consumo di cannabis. Il termine nasce da una leggenda metropolitana statunitense, secondo cui un gruppo di ragazzi si riuniva ogni pomeriggio, alle 4.20, appunto, dietro una scuola alla ricerca di una fantomatica piantagione. Ma probabilmente era una scusa per fumarsi le canne. Il numero 420, però, ben presto è diventato talmente popolare da essere entrato anche nell’immaginario collettivo attraverso film e serie tv, tra cui i Simpson, e la musica dei Gratuful Dead.

Marijuana: l’onda “verde” della legalizzazione negli Usa

In Italia la giornata è intesa come una celebrazione alla mobilitazione, all’attivismo e alla lotta per la liberalizzazione della marijuana a uso ricreativo, prendendo come ispirazione la storia recente. Gli Stati Uniti, Paese da cui è storicamente partita la guerra alla droga, è ora paradossalmente meno proibizionista del nostro, attraverso il percorso iniziato nel 2012 con i referendum nel Colorado e Washington, e che col tempo hanno portato evidenze reali sul fatto che la legalizzazione e regolamentazione del mercato della canapa porti più benefici rispetto alla sua repressione.

Grazie alle leggi, discusse e approvate spesso con iter velocissimi – i casi più eclatanti sono quelli degli ultimi due stati a far passare la regolamentazione, New York e New Mexico, i cui passaggi nelle rispettive camere legislative sono durati meno di un giorno – si combatte la criminalità organizzata, non si riscontrano effettivi aumento nel consumo tra i giovani o negli incidenti stradali, ma soprattutto le enormi risorse che vengono strappate alla malavita vengono riversate nelle casse degli Stati e, di conseguenza, messe a disposizione delle proprie comunità.

Così come la fine del proibizionismo sull’alcool, eliminato con la crisi economica a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, la nuova grande depressione, cominciata nel 2008 e acuitasi con la pandemia, ha aperto le porte alla regolamentazione, diventando risolutiva per il bilancio dei singoli Stati, tanto che a oggi sono ben diciotto negli Usa quelli che hanno legalizzato la marijuana, con il 40% della popolazione americana che attualmente vive in luoghi in cui è legale la cannabis a uso ricreativo.

In Italia, invece, ancora si fatica a proporre una legge in favore della legalizzazione, tanto che la proposta di legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento nel 2016 non è stata ancora calendarizzata. Anche per suscitare una discussione in merito all’argomento nasce “Antipro! 99 interventi fondamentali contro il proibizionismo” (Officina di Hank editore), un libro uscito a febbraio e scritto da Luca Marola.

Cosa dice “Antipro!”, il libro di Marola sulla storia della cannabis

Il testo si compone di un’antologia per ancorare l’attivismo italiano alla storia della lotta di ciò che dovrebbe rientrare tra i diritti civili, con il consumo di cannabis che rientrerebbe, in consapevolezza, nell’autodeterminazione dell’individuo e del suo corpo. In essa sono raccolti vari i discorsi che hanno contribuito a cambiare la storia o l’opinione pubblica sull’argomento, ma anche quegli interventi che hanno incorniciato un determinato momento storico relativo alla marijuana.

Al suo interno si trovano, ad esempio, l’intervento di Justin Trudeau, primo ministro canadese, alla camera di commercio di Baltimora, in cui spiegò perché a breve il suo paese avrebbe legalizzato la cannabis; oppure quello di presentazione della legge al parlamento uruguaiano dell’allora presidente, Pepe Mujica, facendo diventare il paese sudamericano il primo Stato in assoluto a legalizzare la marijuana. Per quanto riguarda l’Italia sono invece presenti Marco Pannella, Benedetto della Vedova ed Emma Bonino, tra i personaggi più illustri, ma anche qualcun altro di insospettabile come Pier Paolo Pasolini, Umberto Veronesi e Rita Levi Montalcini.

Il problema italiano, secondo Marola, deriva in gran parte dalla legge 309/90, e dal solo articolo 73, in grado di causare il 30% dei processi in tribunale e delle reclusioni nel nostro Paese. Nel libro sono riportati anche gli interventi nella discussione in Parlamento di chi non solo poneva dei dubbi sull’efficacia della legge nella lotta ai stupefacenti ma vaticinava il disastro che sarebbe accaduto e che oggi possiamo quotidianamente misurare.

D’altronde la legislazione italiana sulla marijuana ha riscontrato delle difficoltà anche per quanto concerne la cannabis light: quella uscita in Gazzetta nel gennaio 2017 è scritta talmente male da permettere ogni possibile interpretazione, e la conseguente sentenza della Cassazione del maggio ’19 aggiunge ulteriori problemi interpretativi, permettendo arbitrarietà a certi procuratori che considerano stupefacente qualsiasi infiorescenza, a discapito della quantità di thc, e avviano il sequestro di intere attività che producono canapa industriale, arresti e processi. Altrove invece, come a Bologna, i procuratori danno istruzioni ai propri sostituti di non applicare la legge in maniera restrittiva, per non impegnare il tempo della procura in inchieste infruttuose.

Lo stesso Marola è attualmente imputato per produzione e spaccio di stupefacienti, nonostante la sua azienda fosse specializzata nella produzione di cannabis a bassissimo contenuto di thc. «Spero che l’udienza preliminare del 29 aprile metta fine a questa ambiguità di interpretazione della norma» ha confidato alla nostra radio. Inoltre lo scrittore e attivista ci ha rivelato che a inizio giugno ci sarà un’iniziativa a Bologna che coinvolgerà un numero imprecisato di piantine, che saranno usate per invocare la fine della repressione di comportamenti sociale che, usando le parole della direzione nazionale anti-mafia nel 2016, sono equiparabili a quello del consumo di alcol: «con questa manifestazione, con l’antologia e con l’attivismo si vuole dimostrare come il proibizionismo sia solo un’ideologia e, fondamentalmente, grottesca».

Luca Meneghini

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