Sembra destinato a non finire il continuo rimpallo del disegno di legge sul reato di tortura da un ramo all’altro del Parlamento. In Senato il testo è stato nuovamente modificato, allontando il contenuto dalle prescrizioni della convenzione Onu. Pene ridotte e fattispecie di reato sempre più generico. Riccardo Noury (Amnesty): “basta gioco al ribasso, il Parlamento sta tradendo gli obblighi assunti”.

Si allontana nuovamente l’introduzione del reato di tortura nella legislazione italiana. La commissione Giustizia del Senato ha scritto una nuova pagina del lungo tira e molla di cui è protagonista da oltre due anni la proposta di legge, che attende di essere approvata nel nostro paese da oltre un quarto di secolo quando, nel 1989, il Parlamento ratificò la Convenzione Onu sul reato di tortura. Il ddl è stato nuovamente modificato e, se passerà l’esame di Palazzo Madama, dovrà tornare ancora una volta al vaglio della Camera. Nello specifico, vengono diminuite le sanzioni e viene introdotto il plurale per le violenze: la tortura, per configurarsi tale, dovrà essere reiterata.

“Dal primo passaggio al Senato c’è stato un tentativo molto organizzato e purtroppo efficace da parte dei contrari all’introduzione del reato di tortura per sabotarne il contenuto e fare in modo che rimbalzasse da un ramo all’altro del Parlamento ogni volta peggiorato – dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – Il risultato è che siamo tornati esattamente al 2004, a quel famigerato emendamento sulla tortura reiterata presentato dalla senatrice della Lega Lussana”.

Le novità introdotte modificano sensibilmente la fattispecie del reato (oltre a diminuire le pene) che colpisce “chiun­que con rei­te­rate vio­lenze e minacce gravi, ovvero agendo con cru­deltà, cagiona acute sof­fe­renze fisi­che o un veri­fi­ca­bile trauma psi­chico a una per­sona pri­vata della libertà per­so­nale o affi­data alla sua custo­dia, vigi­lanza, controllo, cura o assi­stenza, ovvero si trovi in con­di­zioni di mino­rata difesa”. Il reato rimane generico e non proprio delle forze dell’ordine, con l’aggravante nel caso venga commesso da un pubblico ufficiale. Anche in questo caso, però, la pena massima viene ridotta da 15 a 12 anni. “Il gioco al ribasso è andato avanti all’infinito e oggi siamo di fronte a un testo che è incompatibile con la convenzione dell’Onu contro la tortura che l’Italia ha l’obbligo di rispettare – osserva Noury – In questo momento il Parlamento sta tradendo quest’obbligo, per la quinta legislatura consecutiva e per il 26esimo anno consecutivo”.

Oltre al fatto che la violenza o la minaccia per essere considerata tortura deve essere “reiterata”, viene annacquato l’aspetto della violenza psichica, rispetto al quale si deve essere in presenza di un trauma verificabile. “Qui si ignora che dai tempi della colonna infame del Manzoni la tortura è anche quella che non lascia segni – spiega il portavoce di Amnesty – La tortura moderna è una tortura sofisticata che va rintracciata a fondo, ma per farlo biasogna dare spazio all’ipotesi che non ci sia solo una tortura fisica, ma anche psichica. Basta vedere la sentenza della corte di Cassazione su Bolzaneto per capire che tante fattispecie di tortura sono di quel tipo”.

L’impressione, nemmeno troppo velata, è che nel dibattito parlamentare a spuntarla siano state le resistenze di quella parte delle forze di polizia contrarie alle legge, e di chi ne ha raccolto le istanze all’interno del Palazzo. Ora il tentativo di affossare una volta per tutte il provvedimento, dopo i continui rimpalli degli ultimi due anni, sta avendo la meglio. “Si è materializzato lo scenario peggiore, rispetto al quale le organizzazioni per i diritti umani avevano già messo in guardia – sottolinea Noury – In questo periodo la pressione dei sindacati della polizia è stata forte, così come lo stesso capo della polizia ha portato avanti la sua strategia attraverso incontri e audizioni. Quello che dobbiamo denunciare è l’equivoco secondo il quale il reato di tortura danneggerebbe le forze di polizia”.

Conclude Noury: “Questo è un paese nel quale si fanno dichiarazioni sulla base di un’emozione di breve periodo. Subito dopo la sentenza della Corte europea sui fatti della Diaz erano tutti a favore del reato di tortura, dopo i fatti di Milano del primo maggio tutti si dichiaravano a favore della polizia e contro il reato di tortura. Non ci si rende conto che l’Italia nel 1989 ha assunto un obbligo di fronte alle Nazioni Unite, e questo impegno va rispettato. Anche se a Genova non fosse successo nulla, anche se non ci fossero stati i vari casi Aldrovandi e Cucchi, non di meno l’Italia avrebbe un colpevole ritardo di 26 anni nel non aver introdotto il reato di tortura“.