Michele Rech, in arte Zerocalcare, è senza ombra di dubbio quello che definiremmo “un compagno”. La sua biografia, i temi di cui tratta e le cause che continua a sposare parlano chiaro e la cosa che sorprende è la sua coerenza nonostante la popolarità raggiunta in un pubblico molto più trasversale e ampio di quello dei centri sociali, da cui proviene. Del resto, sono molti gli artisti e i personaggi che, dopo un inizio di carriera incendiario, sono stati sussunti e hanno addolcito le proprie posizioni, a volte anche passando dall’altra parte della barricata. I nomi sarebbero tanti, ma basta quello più folkloristico: Paolo Liguori, passato da Lotta Continua alla destra berlusconiana.
Se volessimo sintetizzare la sua figura in una definizione, Zerocalcare è senza dubbio “radical pop”, perché continua a portare avanti istanze radicali con modalità popolari in consessi dove solitamente alcune istanze sono tabù. La scelta, ovviamente, non è risultata indolore perché ha dovuto affrontare non poche discussioni con la parte del suo pubblico che ha considerato un “tradimento” anche solo il fatto di apparire su media mainstream, indipendentemente da quello che andava a dire.
Tralasciando tutto il discorso gramsciano sull’egemonia – che comunque Zerocalcare non si sente di riuscire a fare – l’artista ha spiegato come si svolge il suo rapporto col mainstream nel corso dell’incontro a Ponticelli di Malalbergo, all’interno dell’iniziativa “Una pianura di libri”.
Zerocalcare e il mainstream, un rapporto mediato dalla comunità
«Non potrei mai fregare i media mainstream – ha messo subito in chiaro Zerocalcare – Chiunque dica che li sfrutta e li usa contro il loro volere mente. È impossibile pensare di usarli contro se stessi e il loro interesse lo portano sempre a casa. Quindi ogni volta si tratta di un mercanteggiare di strumentalizzazioni vicendevoli. Tu sai che quello che fai a loro porterà click e visibilità e tu puoi cercare di capire se riesci a portare a casa qualcosa delle istanze che vuoi rappresentare».
Una negoziazione costante, dunque, che l’artista approccia in due modi differenti. Da un lato ciò che concerne il suo lavoro in senso stretto, come le interviste richieste dalla casa editrice per la promozione dei suoi lavori, dall’altro le battaglie politiche e le cause che porta avanti.
In questo secondo caso è molto interessante il metodo che Zerocalcare si è dato per apparire nei media mainstream. In particolare, la scelta non è individuale, ma è frutto di un confronto con una comunità, con la quale discute l’opportunità, ma anche le modalità della partecipazione.
«Tutte le cose che hanno un’attinenza politica io le faccio su mandato – spiega il vignettista – Se ad esempio una grande testata mi chiede una cosa sui curdi, parlo con le persone che si occupano di quei temi, come in un’assemblea, e dico: “mi hanno proposto questa cosa. La faccio? Non la faccio? Ha senso? Non ha senso?».
Nella discussione la valutazione riguarda i benefici, come parlare di una causa a tante persone. «Per questo mi rimetto ad una valutazione collettiva: è una cosa che ci serve o non ci serve? È una cosa che effettivamente in quel contesto ci aiuta? E decidiamo insieme».
Poi c’è la questione economica. «Se faccio una cosa che riguarda una vertenza collettiva, il compenso che ricevo lo metto benefit per la causa stessa, perché quelli sono lavori collettivi, per cui in assemblea decidiamo insieme come parlarne – sottolinea l’artista – quindi, siccome non voglio che poi la gente mi parli dietro dicendo che faccio i soldi con le cause dei compagni, quella roba lì di solito è benefit. Oltre a questo, se ci sono da pagare diecimila euro di spese legali, in quel caso è bene che lo faccia, mentre in altri casi magari no».
In altre parole, la presenza di Zerocalcare sui media mainstream è frutto di un confronto con la comunità di riferimento. Un metodo che lo alleggerisce, poiché distribuisce la responsabilità.
«Però – conclude – se dovessi dare un giudizio complessivo sul mio rapporto col mainstream non saprei, perché ci sono volte in cui penso che una cosa è fighissima ed è impossibile che venga stravolto il senso di quello che voglio dire, ma magari esce un titolo di merda e vanifica tutto il contenuto. Quindi ogni volta è una scommessa al buio».
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