Il 10 novembre ricorre la Giornata internazionale degli stagisti, una giornata per riflettere sul ruolo e sulla condizione di chi sta entrando nel mondo del lavoro e vorrebbe e avrebbe il diritto di farlo nel modo più dignitoso possibile.
Non è sicuramente una giornata di festa. Secondo i dati Eurostat, in Italia un giovane lavoratore su due ritiene di essere retribuito in maniera non adeguata, e solo il 32% gode di un contratto di lavoro stabile. Tutto ciò, sempre e solo se un lavoro lo si trova: l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea con un tasso di occupazione giovanile tra i 25 e i 29 anni sotto il 60%.
Al mondo del lavoro oggi si accede con tirocini non pagati o sottopagati, che su carta avrebbero lo scopo di formare le risorse in ingresso e che invece diventano spesso occasioni per far svolgere ai nuovi arrivati le mansioni rimaste scoperte. Non si tratta solo di “fare le fotocopie”, ma di ricoprire ruoli e responsabilità per cui, di fatto, non si è né formati né retribuiti.


Bologna la ricca


Anche nella bella Bologna le cose non vanno bene. Chi scrive, vorrebbe che si trattasse di esperienze raccolte a fini giornalistici, e invece si trova (mi trovo) a riportare esattamente il contenuto di un colloquio a cui si è personalmente candidato. In una splendida casa di moda emiliana, poco fuori Bologna ma abbastanza da concedere a chi vi lavora il titolo di pendolare, uno stage che su carta è di 40 ore settimanali diventa, senza troppo scalpore, di 45/50. A detta di chi fa il colloquio, i cinque giorni di lavoro settimanale, anche qui senza troppo scomporsi, diventano spesso sei, e se proprio c’è l’occasione di qualche importante evento a cui si ha l’onore di presenziare si arriva nondimeno a sette.
Immaginiamo una settimana lavorativa tipo di sette giorni. Dieci ore di lavoro al dì, due di spostamenti, due per ingerire del cibo e dell’acqua, un paio per guardare la tv ingessati sul divano e una manciata per dormire. Sei mesi così. A detta di chi conduce il colloquio, “tutti qua dentro fanno così, ci vuole tanta pazienza, ma ci si dà una mano”. Una mano non basta. Quando chiedo se c’è un compenso sembra che abbia chiesto la cosa più strana al mondo e invece vorrei perlomeno sapere quanto valgono le mie quasi 50 ore di lavoro (e non di stage) settimanali in questa prestigiosa casa di moda. Chi si è preso la briga di contattarmi per un colloquio e di propormi di vivere sei mesi della mia vita come se fossi un essere non umano che si nutre forse di gloria e di esperienza, non si era preso invece la briga di informarsi sulla retribuzione. Che di fatto non c’è. I 400 euro che (forse) vengono offerti come rimborso spese non sono una retribuzione. Non per quasi 50 ore di lavoro settimanali che non prevedono alcuna attività di formazione.
La casa di moda emiliana continua a perdere personale. Il posto per cui mi sono candidata, chissà come, è vacante da un po’: “Chi c’era prima di te se ne è andato per motivi personali, altre ancora hanno rinunciato all’assunzione finiti i sei mesi”.

L’abisso raccontato da chi lo vive


Non è solo la casa di moda emiliana. Un mese fa Maura Gancitano e Andrea Colamedici, gestori di una casa editrice, filosofi e divulgatori impegnati su temi sociali tra cui il lavoro, hanno pubblicato sul sito di Tlon una pagina dal titolo “l’abisso”.
“Questa mattina, 11 ottobre 2023, nelle storie di Instagram abbiamo chiesto a chi ci segue di condividere le proprie esperienze lavorative. Sono arrivati tantissimi messaggi di storie agghiaccianti, salari irrisori, orari disumani e trattamenti vessatori. Ci è sembrato giusto metterli insieme – in forma anonima – per vedere l’effetto che fa tutta questa assurda ingiustizia. Ne è nato un abisso che è bene tenere a mente”.
L’abisso è quotidiano, e profondissimo. L’appello di Tlon è stato raccolto da migliaia di persone che hanno condiviso le proprie esperienze.
Il tenore dei messaggi è questo:
Offerta di “lavoro” come psicologa, richiesta esperienza, partita iva, iscrizione all’albo, ecc.. ho 28 anni e tutti i requisiti, anche di più, mi propongono uno stage di 4 mattine a settimana NON RETRIBUITO per UN ANNO, sottolineando che poi si avrà la possibilità di entrare a far parte della loro prestigiosa organizzazione se tutto va bene… beh NO, a 28 anni dopo 8 anni di università e specializzazione in corso, questo si chiama SFRUTTAMENTO non offerta di lavoro.
Il lavoro povero è discriminante, avvilente, illegittimo. Chi vi può rinunciare è fortunato, chi non può è obbligato. Sì, perché in molti non hanno possibilità di scegliere tra poco o niente, non hanno il lusso di potersi permettere “niente”. Anche per questo quando ci presentiamo ai colloqui ci viene chiesto “che lavoro fanno i tuoi?”. È un malcelato “quanto poco posso offrirti?”.

Serena Convertino