«Situazione drammatica». Questo è il mantra che tutte le organizzazioni umanitarie presenti a Gaza utilizzano per descrivere la crisi umanitaria determinata dal conflitto. L’assedio di Israele non molla la presa e il premier Benjamin Netanyahu appare sordo alle richieste che arrivano da più parti, inclusa l’Onu, per un cessate il fuoco che permetta di assistere le centinaia di migliaia di persone sfollate nel sud della Striscia, anche attraverso l’apertura di canali umanitari che consentano l’ingresso di aiuti e di beni di prima necessità.

Nel sud di una Gaza assediata la crisi umanitaria degli sfollati

A fare una fotografia della catastrofe umanitaria in corso a Gaza è, ai nostri microfoni, Dina Taddia, consigliera delegata della ong WeWorld.
«Noi avevamo progetti attivi sia in Cisgiordania che a Gaza, ma abbiamo dovuti sospenderli – racconta Taddia – All’interno della Striscia ci sono 10 nostri colleghi con cui siamo in contatto e che ci raccontano la situazione».
Ed è una situazione drammatica, determinata anzittutto dal sovraffollamento nel sud della Striscia, dove Israele ha spinto gli abitanti del nord. Quasi un milione di palestinesi si sono spostati dal nord e ora si trovano sfollati in una porzione di territorio che era già il più sovrapopolato al mondo. «Ci sono quasi 10mila persone ogni chilometro quadrato», spiega la cooperante di WeWorld.

Il sovraffollamento, l’impossibilità di uscire dalla Striscia e l’ingresso col contagocce degli aiuti umanitari determinano una situazione drammatica.
L’assenza del gasolio, oltre ad aver provocato il blackout degli ospedali, comporta problemi per l’approvvigionamento di acqua, dal momento che non funzionano più le pompe dei pozzi. Allo stesso modo, le pompe delle fognature sono ferme, determinando un rischio igienico-sanitario.
L’alta concentrazione di persone in un piccolo spazio crea problemi anche per i rifiuti, con ulteriori rischi sanitari. E scarseggiano o mancano del tutto cibo e medicinali.

«Noi chiediamo il cessate il fuoco e l’apertura di canali umanitari – afferma Taddia – in particolare per fare entrare gli aiuti dal valico di Rafah. Al momento ci sono centinaia di camion in attesa con cibo, acqua e medicinali. Ad oggi viene consentito l’ingresso solo a poche decine di camion, mentre prima del conflitto entravano quasi 200 camion al giorno».
La stessa WeWorld ha dei camion di aiuti bloccati al valico di Rafah e il personale all’interno di Gaza ha già individuato 5 location per lo stoccaggio e lo smistamento degli aiuti, in modo da poterli distribuire nel minor tempo possibile.

In tutta questa situazione, l’esercito israeliano continua a bombardare anche il sud della Striscia, rendendo insicuri anche i luoghi in cui aveva intimato ai palestinesi di spostarsi.
«Sono stati colpiti anche uffici dell’Onu – riporta Taddia – dove avevano cercato rifugio molte delle persone che fuggivano dal nord».

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