L’appello di Michele Serra, rilanciato da la Repubblica, per una manifestazione di piazza – già fissata per il 15 marzo – a favore dell’Europa sta facendo molto discutere. Da un lato ha registrato l’appoggio di quasi tutte le segreterie del centrosinistra, da Italia Viva ad Azione, da +Europa al Pd, fino ad Avs. Dall’altro registra anche una certa freddezza da chi, non essendo ostile all’Ue, si chiede però per quale idea di Europa occorra scendere in piazza.
L’appello di Serra arriva dopo diversi atti espliciti del presidente statunitense Donald Trump contro l’Europa. Dall’esclusione del Vecchio Continente dalle trattative per la guerra in Ucraina ai dazi imposti alle merci europee. Fino a quella che la stampa mainstream italiana ha definito “trappola” o “umiliazione” nei confronti del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Nelle stesse ore in cui in Italia l’establishment politico del centrosinistra dava concretezza all’appello di Serra, a Londra la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, lanciava quello che sugli stessi quotidiani mainstream viene definito “il grande riarmo europeo”. «Dobbiamo aumentare massicciamente la spesa per la difesa», ha affermato von der Leyen, ribadendo anche la necessità di fare presto.
Nello stesso appello di Serra, contenuto ne “L’Amaca” del 22 febbraio, intitolato “Dite qualcosa di europeo” e poi ripreso successivamente, non figura mai la parola “pace”. Il riferimento più frequente è ai valori del cosiddetto “Occidente” e, quando il giornalista dettaglia, parla di «separazione dei poteri, diritti e doveri uguali per tutti, libertà religiosa e laicità dello Stato, pari dignità e pari serenità per chi è al governo e chi si oppone».
Le obiezioni a una manifestazione per l’Europa Pride
Anche se non hanno eguale visibilità mediatica, sono numerose le obiezioni ad una generica chiamata alla piazza in favore dell’Europa e dalla sua unità. I distinguo si misurano su diversi livelli ed evidenziano tutte le contraddizioni che l’Ue ha manifestato nei decenni, anche su terreni che vengono contestati oggi a Trump.
Per ciò che riguarda l’umiliazione a Zelensky, ad esempio, c’è chi ricorda che la scena a cui abbiamo assistito non è inedita. Nel luglio 2015 furono Draghi, Merkel, Hollande, Tusk e altri esponenti di quella che veniva chiamata la Troika a bullizzare in egual misura Alexis Tsipras obbligandolo di fatto ad accettare la ricetta economico-finanziaria “lacrime e sangue” per la Grecia. L’incontro non fu davanti alle telecamere, ma le modalità non segnarono una grande divergenza dal bullismo della coppia Trump-Vance.
Sempre sul versante delle politiche economiche viene messa all’indice l’Europa del neoliberismo, quella dell’austerità, delle lobby finanziarie, dei paradisi fiscali per Airbnb, Google e Meta, della spesa per armamenti, dei diktat per massacrare i diritti dei lavoratori, del rapporto deficit/pil inferiore al 3%. Analisi che fa il paio con chi osserva che è proprio l’Europa neoliberista ad aver aperto la strada all’avanzata dell’estrema destra che si registra oggi attraverso l’impoverimento della popolazione che la rende più sensibile alle ricette semplicistiche e reazionarie dei neofascisti.
Anche in tema dei diritti l’Europa predica bene e razzola male. La politica dell’esternalizzazione delle frontiere, del respingimento dei migranti, degli accordi con la Turchia, la Libia e altri Stati dittatoriali per fermare i flussi, anche attraverso lager, è ciò che ha prodotto in questi decenni decine di migliaia di morti in mare o alle frontiere.
Viene così meno anche la retorica secondo la quale è proprio l’Europa ad aver garantito decenni di pace. Ma la partecipazione di Paesi europei alle guerre in Afghanistan (dove dopo vent’anni di “war on terror” governano i talebani contro cui si è dichiarata guerra), in ex Jugoslavia, in Libia e altri contesti ancora suggeriscono che l’idea di pace che ha l’Europa ha un intrinseco significato razzista e sovranista.
Quale Europa occorre sostenere?
Qualcuno dei promotori della manifestazione chiamata da Serra ha fatto anche riferimento al Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel 1941 dall’esilio, e considerato il documento fondativo della stessa Europa Unita.
In un post su Facebook e anche ai nostri microfoni il giornalista Paolo Soglia parte proprio da quel manifesto per analizzare la situazione.
«Mi sembra che sia sotto gli occhi di tutti come in Europa si vada in ordine sparso e che anche il concetto di unità europea e posizione comune sia abbastanza aleatorio – spiega Soglia – Mi ha dato molta perplessità la pochezza politica di questa chiamata. Ci vuole più Europa? Mi pare una formula semplicistica e un po’ banale. Quale Europa?».
A proposito del Manifesto di Ventotene, il giornalista segnala che l’Europa voluta da coloro che sono considerati i suoi padri fondatori «non è né la Ue che conoscevamo prima della guerra, né tantomeno quello sfascio che stiamo vedendo in questo momento».
L’Europa disegnata da Spinelli, Rossi e Colorni, ad esempio, parla di giustizia sociale e di pace, tutti elementi che sembrano sempre più mancare nell’unione odierna.
«Mi ero abituato a un’idea dell’Europa che giocava un ruolo valoriale all’interno in un contesto in cui un ripudio della guerra, che noi abbiamo in Costituzione ma che era la lezione della seconda guerra mondiale, mi sembra sia stato completamente raso al suolo. Infatti si parla di un riarmo, ma bisogna chiedersi per chi? Contro chi? Contro cosa? E soprattutto a che prezzo?».
Soglia sottolinea poi il paradosso che si sta registrando ora, quando la sinistra o sedicente tale ha completamente ignorato la richiesta di pace da parte dell’opinione pubblica, lasciando che del tema si impadronisse la destra.
«In questo senso le parole del Manifesto di Ventotene mi sembrano profetiche – continua il giornalista – Lì si citano i liberaldemocratici che, in momenti di crisi, non capendo più la realtà, poi creano uno scollamento totale con la popolazione. Le liberaldemocrazie stanno scavando la propria fossa dando sempre più fiato a un’oppisizione che è stata delegata addirittura a partiti parafascisti o paranazisti. A me pare un fenomeno inquietante, perché significa non capire la realtà, non occuparsi di politica e andare avanti per slogan, e soprattutto mettere l’Europa e molti suoi Paesi in un futuro in una situazione che potrebbe provocare ribaltamenti incredibili a favore dei partiti della reazione».
L’Europa, dunque, andrebbe rifondata. «Però i valori che si proclamano bisognerebbe ogni tanto perseguirli – è il monito di Soglia – Io penso che questo scollamento che è iniziato da tempo e si è consolidato in una visione iperliberista, finanziaria e monetaristica che caratterizza l’Europa, ma che trascende dai suoi valori fondamentali che avevano ispirato gli europeisti ante litteram, dovrebbe essere il punto fondande della riflessione e della rifondazione, ma purtroppo non è così».
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