Il dato del sovraffollamento nelle carceri dell’Emilia-Romagna negli ultimi tre anni è cresciuto di oltre 500 unità, che rappresentano «un undicesimo carcere, virtuale non materiale, ma che si spalma su tutti gli istituti penitenziari esistenti». È con questa immagine che Roberto Cavalieri, garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, fotografa la situazione del carcere lungo la via Emilia. «La taglia media delle carceri nella nostra regione è di 380 persone e se in tre anni abbiamo 500 persone in più vuol dire che abbiamo più di un carcere che si è formato senza quasi che ce ne fossimo accorti», continua il garante.

Il sovraffollamento in carcere in Emilia-Romagna è pari a un istituto penitenziario in più

I numeri del sovraffollamento sono stati presentati questa mattina in una conferenza stampa che per la prima volta dall’istituzione di questa figura ha visto insieme tutti i garanti del territorio dell’Emilia-Romagna, a simboleggiare la gravità della situazione.
Cavalieri ha anche fornito alcuni elementi per spiegare le ragioni del sovraffollamento, a partire dalla legislazione che sempre più prevede il carcere come risposta ai reati commessi, aumentando in questo modo la popolazione penitenziaria. La stessa apparente soluzione, cioè la carcerazione, viene ormai proposta dalla politica per fenomeni anche molto diversi tra loro, alcuni dei quali nascono dalla carenza di welfare.

La seconda ragione che determina numeri alti nelle carceri dell’Emilia-Romagna è il trasferimento di detenuti di alta sicurezza, in particolare nell’istituto penitenziario di Parma. Ciò in parte è dovuto al fatto che altri territori non sono attrezzati per le cure della salute psichiatrica e l’eccellenza rappresentata dall’Emilia-Romagna rischia di essere un boomerang.
Il terzo elemento rappresenta una cultura crescente di diffidenza e stigma nei confronti dei detenuti, che si traduce con una scarsa offerta di benefici e svolgimento della pena all’esterno del carcere. Il caso citato dal garante regionale riguarda Piacenza, dove in tre anni nessun detenuto ha avuto accesso a un lavoro esterno, mentre in altri contesti ciò per fortuna avviene (a Bologna sui 60 detenuti, a Parma sui 25-30).

È proprio sulla cultura, alimentata anche da una parte della politica, che Cavalieri insiste perché se non verrà meno lo stigma, la situazione di certo non migliorerà.
«I suicidi, l’autolesionismo, le risse e di traffici di cui sentiamo parlare in relazione al carcere – sottolinea il garante – sono dei sintomi di un malessere della popolazione detenuta che non ha più un orizzonte di speranza».
Ciò avviene nonostante la Regione Emilia-Romagna investa circa 20 milioni di euro all’anno sul carcere. Un investimento ingente che però non le consente di uscire dalla top 4 delle regioni con il maggior numero di suicidi in carcere.

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