Di fronte ad un nuovo dramma della povertà e della solitudine, con un uomo anziano e solo morto nel pieno centro di Bologna, Piazza Grande si interroga su quanto accaduto e, come monito, installa in via San Felice la prima “Casa che non c’è”. Lo scopo è quello di sensibilizzare la città al tema dell’emarginazione, stimolando pratiche di accoglienza concreta e per farlo domani verrà affissa un’icona simbolica per rendere visibile quello che è accaduto e condividerne tutti il peso e gli interrogativi.

Una “casa che non c’è”, l’iniziativa di Piazza Grande dopo la morte di un senza dimora

Si chiamava Mario l’uomo senza dimora morto martedì scorso, al freddo e per strada in via San Felice a Bologna, nel pieno centro della città. Aveva 75 anni, era nato a Crotone, ma risultava residente a Marzabotto. Da alcuni tempi, però, stazionava a Bologna e, secondo quanto ricostruito dall’Amministrazione comunale e dallo stesso sindaco Matteo Lepore, avrebbe più volte rifiutato il ricovero notturno in una delle strutture del Piano Freddo.
Le unità di strada erano entrate in contatto con lui e Mario stesso frequentava le mense per poveri della città, ma non voleva passare le notti nei dormitori cittadini.

Il rifiuto dell’entrare in dormitorio, purtroppo, è uno dei problemi che gli operatori e i volontari delle associazioni che si occupano di marginalità sociale incontrano nel loro lavoro. Salvo rarissimi casi, non si può e non è giusto procedere in modo coatto per mettere le persone al riparo dal freddo. Resta però l’interrogativo sul perché ci sia chi preferisce sfidare il freddo e rischiare la morte piuttosto che andare in dormitorio.
Su questo tema martedì scorso sono intervenuti anche i consiglieri comunali di Fratelli d’Italia, Stefano Cavedagna e Fabio Brinati, secondo cui alcuni senza dimora rifiutano di andare nei dormitori per paura di essere derubati o maltrattati. Gli esponenti meloniani propongono una ricetta securitaria: mettere in piedi un’attività di vigilanza nei dormitori.

«In qualsiasi convivenza tra persone possono accadere fenomeni di aggressività o piccoli reati – osserva Ilaria Avoni, presidente di Piazza Grande – e in contesti dove ci sono più persone in difficoltà questa cosa può essere più rilevante. La condizione di emarginazione porta a porsi nei confronti degli altri anche in un modo di autotutela o egoistico».
La presidente di Piazza Grande, dunque, non nega che alcuni episodi come quelli evocati da Fdi esistano, ma puntualizza: «nei centri ci sono operatori che possono intervenire e mediare, mentre in strada, dove avvengono gli stessi fenomeni, non c’è nessuno».

Tuttavia per Avoni le ragioni che portano le persone a rifiutare il ricovero nei dormitori sono soprattutto altre. «Sebbene percentualmente siano poche le persone che scelgono di restare in strada – osserva – succede perché, soprattutto per chi vive in strada da molto tempo, è difficile da un lato immaginarsi in un luogo diverso e, dall’altro, perché le soluzioni che vengono proposte, che sono comunque dignitose, comportano delle regole a cui non è detto che una persona voglia stare, dal fatto che deve convivere con altre persone agli orari che servono a regolare una struttura con molte persone».

Tutto ciò, però, per Piazza Grande non serve da alibi per quello che è successo, cioè la morte di una persona anziana e sola in strada.
Sono tre i concetti chiave che, con l’iniziativa della “Casa che non c’è”, si vogliono sottoporre alla riflessione di tutte e tutti: “Casa, relazioni e comunità“.
«Devono stare tutte insieme – sottolinea Avoni – perché non è sufficiente avere una casa per riuscire a stare bene, ma anche il pezzo delle relazioni e del fatto che ci sia una comunità che si prenda cura. Non stiamo quindi parlando della responsabilità di un singolo, ma collettiva e di una opportunità che c’è da parte di una comunità».

Negli ultimi anni, in particolare durante il Piano Freddo, i servizi si sono mossi verso questa direzione, in particolare dando la possibilità alla cittadinanza di segnalare persone che dormono in strada. «Si può mandare una mail a instrada@piazzagrande.it per segnalare una persona che dorme fuori – ricorda Piazza Grande – o mettere a disposizione bevande calde per rendere il freddo più sopportabile, scambiare due chiacchiere con chi solitamente non viene visto, dare in affitto una casa per un progetto di accoglienza».

Oltre a ciò, quello che serve è anche superare l’approccio emergenziale pensando a progetti di reinserimento più strutturati, come l’housing first. Piazza Grande lanciò il primo progetto di questo tipo nel 2012 e, secondo Avoni, sempre più soggetti si sono convinti della sua efficacia, al punto che è stato inserito nella Misura 5 del Pnrr.
«Dare un’accoglienza in casa – sottolinea la presidente di Piazza Grande – migliora notevolmente il livello di qualità della vita e della dignità della persona, oltre ad aiutare il reinserimento sociale in modo proficuo».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ILARIA AVONI: