44.600 neomamme nel 2022 hanno lasciato dato le dimissioni volontarie dal lavoro e la ragione principale è l’inconciliabilità con il lavoro di cura dei figli. È questo il quadro che emerge dai dati diffusi ieri dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl), che fotografa ancora una volta una disparità di genere consistente e una carenza di servizi che impedisce alle madri di restare nel mercato del lavoro.

Decine di migliaia di neo-madri danno le dimissioni dal lavoro: inconciliabile con la cura

I dati dell’Inl si inseriscono in un trend di aumento di dimissioni dal lavoro, fotografato anche dal libro della sociologa Francesca Coin intitolato “Le grandi dimissioni“. Ma all’interno di questa dinamica colpisce il segmento che riguarda i neo-genitori. Nel 2022 sono state 61.391 le dimissioni volontarie nei primi tre anni di vita del figlio o figlia, con un aumento del 17,1% rispetto al 2021.
Il fenomeno riguarda soprattutto le donne (72,8% dei provvedimenti ovvero 44.669 dimissioni convalidate) ed è legato strettamente alle difficoltà di conciliazione tra vita e lavoro. Il 63% delle neo mamme, infatti, mette tra le motivazioni la fatica nel tenere insieme l’impiego e il lavoro di cura a fronte del 7,1% dei padri.

Per i neo-padri, invece, la motivazione principale è il passaggio a un’altra azienda (78,9%) ragione invece minoritaria per le donne (24%).
Altro dato interessante riguarda il numero di figli. A dimettersi dal lavoro sono soprattutto le donne che hanno il primo figlio, mentre quelle che già erano diventate madri restano di più al lavoro.
«Ciò è in parte dovuto a necessità economiche – spiega ai nostri microfoni Alessandra Minello, demografa, ricercatrice dell’Università di Padova e autrice del libro “Non è un paese per madri” – È più difficile sostenere una famiglia più numerosa senza avere due stipendi. Chi rinuncia al lavoro lo fa subito nel momento in cui entra nel mondo della maternità».

Centrale, per capire il fenomeno, è il tema della disparità di genere. Se i neo-padri danno le dimissioni perché trovano opportunità di lavoro migliori, soprattutto in termini di retribuzione e di carriera, a volte anche con l’allontanamento dal nucleo famigliare per avere vantaggi, per le neo-mamme lasciare il lavoro risponde all’assunzione della responsabilità della cura non retribuita nell’ambito domestico.

La disparità di genere è alimentata da pochi servizi (costosi) e da retaggi culturali

Quali sono le ragioni che alimentano un fenomeno costante, che addirittura nel 2022 è cresciuto rispetto all’anno precedente?
Una delle ragioni è la carenza di servizi, in particolare quelli per l’esternalizzazione della cura, come gli asili nido. Se il Pnrr ha investito su questo capitolo, recentemente è avvenuto un taglio dei posti.
Oltre al numero di posti al nido, però, uno degli scogli maggiori è rappresentato dal costo di questo servizio. Al punto che molte neo-madri dovrebbero lavorare quasi esclusivamente per pagare il nido, quindi optano per assumersi la cura dei figli.
«C’è anche una disparità geografica – sottolinea Minello – In particolare al sud c’è ancora una difficoltà a esternalizzare la cura, quindi è ancor più interiorizzato il fatto che siano le donne a doversi prendere cura dei figli, riproducendo questi ruoli tradizionali anche all’interno del nucleo famigliare».

Impossibile, però, non prendere in considerazione il problema della disparità di genere nella fuoriuscita dal mercato del lavoro a causa della genitorialità con l’inverno demografico, cioè la poca natalità in Italia.
Si tratta infatti di fenomeni correlati che raccontano di come le persone, in particolare le donne, incontrino problemi a fare figli e contemporaneamente avere un lavoro o una sostenibilità economica.
Tra i temi discussi nei mesi scorsi a livello governativo sono circolate anche diverse proposte, alcune approvate, altre vincolate all’approvazione della legge di bilancio: dal bonus di massimo 3600 euro per gli asili nido alla possibilità di avere il nido quasi gratis per il secondo figlio.

«Ci sono dei contesti virtuosi, come la città di Mantova o quella di Varese – sottolinea Minello – in cui i Comuni riescono a garantire il servizio gratuito a tutta la cittadinanza, al di là del posizionamento Isee. Questa direzione più estesa possibile, è positiva». La demografa sottolinea che anche i bonus sono presenti, come l’assegno unico, che nel 2022 mediamente ha assegnato 146 euro per figlio.
«Un aumento forte di questo tipo di sostegni alle famiglie potrebbe essere una direzione», sottolinea la ricercatrice.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALESSANDRA MINELLO: