È iniziato ieri e, come annunciato dal sindacato dei metalmeccanici tedeschi IG Metall, lo sciopero ad oltranza negli stabilimenti Volkswagen in Germania. Gli operai incrociano le braccia contro la volontà dell’azienda di chiudere tre stabilimenti su dieci nel Paese e licenziare 20mila lavoratori.
Ciò che accade in Volkswagen è l’aspetto più eclatante della crisi che investe il settore dell’Automotive in tutta Europa, in piena emorragia di vendite e incalzata dalla concorrenza sulle auto elettriche cinesi a cui l’Ue ha apposto dazi. In questa chiave è possibile leggere anche le dimissioni di Carlos Tavares da amministratore delegato di Stellantis.

Le ragioni della crisi dell’Automotive in Europa

Le difficoltà di Volkswagen e Stellantis testimoniano la crisi dell’Automotive in Europa, che la politica sembra faticare a cogliere o, quando lo fa, stenta a trovare soluzioni adeguate.
Lo scorso 29 ottobre la Commissione europea ha comunicato la decisione di imporre in via definitiva i dazi aggiuntivi fino al 35,3% sulle importazioni delle auto elettriche cinesi, che risultano più competitive sia in termini economici che tecnologici. Una misura “trumpiana” che non si presenta come risolutiva, perché se è vero che la competizione cinese e statunitense nel settore mettono in difficoltà il settore in Europa, le cause sono da ricercare anche e soprattutto nella condotta delle case automobilistiche nostrane.

«Anche in questa crisi come in tutte le altre, il tema è quello del profitto – sottolinea ai nostri microfoni Gianni Cotugno, segretario della Fiom dell’Emilia-Romagna – Oggi Volkswagen non ha una difficoltà a stare in piedi, se guardassimo ai dati di bilancio dell’ultimo anno vedremmo che sono dati che comunque garantiscono un’utile all’impresa».
Il gap tra l’auto europea e quella cinese o statunitense è di tipo tecnologico e in questo senso il Vecchio Continente sconta il fatto che non si sia puntato abbastanza sulla ricerca per la transizione all’auto elettrica o che lo si sia fatto troppo tardi.

Lo sciopero ad oltranza dei metalmeccanici tedeschi di Volkswagen

«Volkswagen – ricostruisce Cotugno – ha fatto anche un investimento corposo, pari a 30 miliardi di euro, però il primo modello di auto elettrica entry-level è previsto per il 2027 e in questo contesto un ritardo significa stare fuori dal mercato».
Una gestione più attenta agli utili degli azionisti che all’innovazione tecnologica per essere competitivi sul mercato rischiano però di pagarla i lavoratori, tanto in Germania quanto in Italia.
È per questo che da ieri in Germania operaie e operai di Volkswagen sono entrati in sciopero ad oltranza contro la prospettiva che la casa automobilistica dia seguito alla volontà di chiudere tre stabilimenti su dieci nel Paese e licenziare 20mila lavoratori.

La mobilitazione è stata lanciata dal sindacato metalmeccanico tedesco IG Metall, con cui Fiom ha un legame da almeno dieci anni. Lo scorso settembre, infatti, una delegazione emiliano-romagnola si è recata ad Hannover per sostenere la lotta di lavoratori e lavoratrici tedeschi di IG Metall in Volkswagen.
«La loro lotta è simile alle nostre per la tutela dei posti di lavoro – sottolinea il segretario della Fiom Emilia-Romagna – Oltre a ciò c’è proprio un interscambio tra l’Emilia-Romagna e la Germania nel campo delle forniture».

La vicenda Stellantis e la preoccupazione in Italia

Un altro tassello della crisi dell’Automotive in Europa è rappresentato dalle dimissioni di Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis. La sua gestione a quanto pare non è piaciuta agli investitori e lascerà la guida della società con una buona uscita milionaria.
I sindacati in Italia non sono preoccupati per l’addio di Tavares, a cui, al contrario, imputano il disimpegno nella produzione in Italia. «Basti pensare che oggi la produzione in Italia non raggiunge i 300mila autoveicoli, mentre nell’incontro col governo erano stati promessi in pompa magna un milione di unità, in un Paese che ha la capacità anche di realizzarne due milioni», sottolinea Cotugno.

Assenza di investimenti, di un piano industriale, ma anche di una politica industriale nel Paese sono gli elementi che stanno erodendo potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori in cassa integrazione, ma che potrebbero peggiorare con la messa in discussione degli stessi posti di lavoro.
«Non c’è nessun nuovo modello – continua il sindacalista – e vediamo anche investimenti che potevano essere strategici, come quello della Giga Factory, la fabbrica di batterie a Termoli, che non si sa che fine abbiano fatto».
In questo contesto, il taglio contenuto nella legge di Bilancio italiana al fondo Automotive, in particolare per la transizione ecologica del settore, appare come un macigno sull’industria delle automobili.

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIANNI COTUGNO: