Mercoledì 4 dicembre, all’interno del Festival La Violenza Illustrata ci sarà l’evento “Memoria della violazione, grammatiche del corpo, vulnerabilità come resistenza. Testimoniare la violenza nella migrazione“. Si terrà a partire dalle 11:00 al Làbas – Municipio Sociale Autogestito. Come si evince dal titolo, il seminario si focalizza sul legame tra migrazioni e violenza di genere, analizzando i meccanismi che producono e riproducono la violenza.
Al Festival La Violenza Illustrata si parla di violenza di genere istituzionale nelle migrazioni
L’incontro è organizzato da Casa delle Donne insieme a CIAC – Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione Internazionale, Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate e Làbas – Municipio Sociale Autogestito. Sarà uno spazio di confronto tra esperienze di accoglienza e sostegno. Si rifletterà sui meccanismi che producono e riproducono la violenza in varie forme (intima, sessuale, istituzionale e simbolica); su quanto sia complessa la narrazione della violenza, influenzata da fattori come il silenzio, la vergogna e il desiderio di dimenticare.
A proposito di “memoria della violazione”, Chiara Marchetti di Escapes e docente di Sociologia delle relazioni interculturali all’Università di Milano, spiega ai nostri microfoni che «le donne vittima di violenza, soprattutto nel percorso dell’asilo, sono costrette a ricostruire, e rendere in qualche modo anche pubblica, la loro esperienza di violazione, i loro traumi. Questo aspetto si traduce talvolta in una nuova forma di violenza istituzionale e diventa al contempo il lasciapassare per ottenere un documento, un riconoscimento giuridico e anche sociale. Quindi ci stiamo interrogando su come costruire delle narrazioni delle forme di memoria che non necessariamente partano dalla parola, ma che sono iscritte nei corpi, nei silenzi, o in parole differenti che hanno bisogno di una co-costruzione di senso, privata ma anche pubblica in un evento come questo».
Il seminario offre dunque un’occasione per il necessario approfondimento delle sfide e le opportunità legate alla violenza di genere e all’accoglienza. Al centro del discorso c’è il tema della vulnerabilità, su cui il dibattito contemporaneo intende vedere un’opportunità per l’azione e la costruzione di alleanze.
«È un tentativo di ribaltare o quantomeno di mettere in discussione alcune delle categorie che utilizziamo quando parliamo e lavoriamo con donne migranti che sono soggette a violenza istituzionale, simbolica e materiale su più livelli sia nei Paesi di origine, ma anche nei Paesi di accoglienza e nelle stesse pratiche di chi è destinato ad accoglierle – spiega Marchetti – La categoria di vulnerabilità rischia di essere un’ulteriore forma di violenza, o comunque di inferiorizzazione nella misura in cui andasse a enfatizzare degli aspetti di mancanza, di necessità di cura o addirittura di sostituzione da parte delle istituzioni o dei soggetti che se ne prendono cura».
La critica propone di assumere il punto di vista secondo cui la vulnerabilità è una condizione umana, condivisa, che ci mette tutti e tutte in una necessità di prendersi cura gli uni delle altre e permette di vedere che la donna migrante porta con sé degli aspetti di resistenza, di resilienza, di agency, «di fare propria anche in modo innovativo e inaspettato quell’etichetta di vulnerabilità che, se utilizzata in modo partecipato e consapevole, diventa uno strumento di lavoro per condividere dei percorsi insieme», sottolinea la docente.
ASCOLTA L’INTERVISTA A CHIARA MARCHETTI: