Gli svizzeri hanno deciso di porre un freno alla libertà di circolazione dei lavoratori stranieri sul suo territorio. Tra crisi e nazionalismo, si intravede la longa manus dell’ultraliberismo.

Con il voto di ieri, seppur per una manciata di voti, la Svizzera torna al passato, nella gestione dei flussi migratori. Come fino al 2001, ci saranno continugenti stabiliti ogni anno, in ogni settore economico, per l’ingresso di lavori stranieri nel mercato del lavoro elvetico.

Il Canton Ticino, quello di lungua italiana, è stato il territorio che più massicciamente ha votato epr la reintroduzione dei tetti agli immigrati. Nel cantone ci sono 300 mila residenti, 100 mila dei quali stranieri. A questi si aggiungono 60 mila frontalieri, il che vuol dire che un lavoratore su due è straniero.

“Non sorprende dunque che questo cantone, particolarmente sollecitato sul piano lavorativo, poichè lo squilibrio tra uno stipendio italiano e uno svizzero è elevatissimo, abbia votato per il ritorno ad un mercato del lavoro protetto” spiega Rocco Bianchi, giornalista del quotidiano svizzero “Il Corriere del Ticino”.

“Il mercato del lavoro svizzero è molto libero, molto flessibile, con poche protezioni per i lavoratori, questo ha fatto sì -spiega Bianchi- che le nostre imprese, con la libera circolazione di lavoratori, abbiano cominciato ad assumere lavoratori stranieri a basso costo.”

“La Svizzera non si riduce agli ambienti nazionalisti di destra, ma un sentimento del genere esiste, è inutile negarlo -afferma Bianchi, riferendosi al sentimento anti-italiano- e a questo sentimento si è unito un senso di sfiducia. Questo voto è stato un riflesso interno di sfiducia degli svizzeri verso il proprio governo e il proprio mondo economico per come stanno gestendo l’apertura all’Europa. Nasce da qui -conclude Rocco Bianchi- il risultato di ieri.”