Il modello di sviluppo estrattivista crea crisi climatica, la quale esacerba conflitti pre-esistenti. Semplificando e banalizzando un po’, è questo il circolo vizioso che si produce in alcuni contesti del mondo e su cui verterà la riflessione di “Clima di conflitto”, l’incontro previsto per sabato 7 ottobre, alle 18.00, all’interno del Terra di Tutti Film Festival.
Protagonista dell’evento sarà il giornalista Stefano Liberti, che guiderà il pubblico, grazie a fotografie e immagini, attraverso l’impatto dei cambiamenti climatici in due luoghi, il Mozambico e l’Amazzonia.

Conflitti e crisi climatica, il racconto di Stefano Liberti al Terra di Tutti Film Festival

«La prima parte dell’incontro – racconta lo stesso Liberti ai nostri microfoni – verterà sulla situazione in Mozambico, dove sono stato insieme al fotografo Francesco Bellina e a WeWorld all’inizio di quest’anno. Nel nord del Paese è in corso una sanguinosa guerra civile, che è anche legata all’estrazione di gas operata da compagnie internazionali, tra cui Eni».
Il Paese africano è uno dei più colpiti dalla crisi climatica, ma al contempo è uno di quelli che sta estraendo combustibili fossili, che amplificano la crisi climatica stessa.

Il secondo scenario che verrà raccontato nell’incontro è quello della foresta amazzonica in Brasile e si cercherà di capire cos’è cambiato nelle politiche governative nel passaggio di governo da Bolsonaro a Lula e, invece, cosa occorre ancora fare.
Importante è il ruolo delle lotte di alcune popolazioni indigene che si oppongono allo sfruttamento dell’Amazzonia. A raccontare queste battaglie sarà anche Cintia Guajajara, attivista brasiliana che parteciperà all’incontro.

Quello tra conflitti e crisi climatica per Liberti è «un classico circolo vizioso»: lo sfruttamento dei territori, come la deforestazione o l’estrazione di combustibili fossili, produce crisi climatica, che a sua volta va ad esacerbare conflitti pre-esistenti.
Per questa ragione, le politiche di contrasto alla crisi climatica sono anche politiche di pace, perché «ripensare il modello di sviluppo vuol dire cercare di eliminare un approccio estrattivista che ha prodotto crisi climatica e ha prodotto guerra. Pensare modelli di sviluppo alternativi, come fanno gli indigeni in Amazzonia, ci permette di superare un modello che palesemente non funziona e sta portando morte e distruzione non solo in quei contesti, ma in tutto il mondo, come succede sempre più spesso anche in Italia».

ASCOLTA L’INTERVISTA A STEFANO LIBERTI: