Sono passati vent’anni dal 2003, quando enormi manifestazioni pacifiste, animate da milioni di persone, gridarono chiaro e tondo il loro “NO” alla guerra in Iraq. Oggi il pacifismo è più frammentato, ostacolato dalla propaganda bellicista che lo accusa di complicità con il nemico russo, ma nella settimana in corso, quella cominciata il 30 settembre e che si concluderà il prossimo 8 ottobre, saranno decine e decine le manifestazioni che si svolgeranno in quasi tutto il mondo contro la guerra in Ucraina e per il cessate il fuoco e l’avvio di un tavolo di trattative.

Il pacifismo internazionale in piazza contro la guerra

Dalla Germania, in cui ci sono già state manifestazioni pacifiste, alla Spagna, dall’Austria agli Stati Uniti, dal Belgio alla Francia, dal Canada ai Paesi Bassi, fino a Nigeria, Messico, Filippine, Kenya e India: sono decine gli scenari del pacifismo che vedono scendere in piazza per manifestazioni o organizzare iniziative contrarie alla guerra, in Ucraina come ovunque.
L’impulso è nato dal summit del giugno scorso, svoltosi a Vienna, dove le realtà pacifiste provenienti da 40 Paesi del mondo hanno convenuto sulla necessità di una mobilitazione dal basso per dire che le armi non sono la soluzione.

In Italia sono molti gli appuntamenti che si stanno svolgendo su base territoriale, mentre la Rete Italia Pace e Disarmo concentrerà gli sforzi con la partecipazione a “La Via Maestra“, la manifestazione a difesa della Costituzione che si terrà a Roma il prossimo 7 ottobre.
«Per noi difesa della Costituzione è ovviamente difesa dell’articolo 11 – sottolinea ai nostri microfoni Sergio Bassoli della Rete – e chiederemo alle nostre istituzioni il ripudio della guerra e di usare tutte le risorse e le energie per i negoziati».

Il fronte bellicista scricchiola

Negli ultimi giorni, sul fronte dell’invio di armi all’Ucraina, alcuni Paesi della Nato hanno inceppato il meccanismo bellicista. In Europa ha fatto discutere la scelta della Polonia, che ha annunciato di non voler più inviare armi a Kiev. La decisione è legata alle tensioni sulle esportazioni di grano dell’Ucraina.
Ma problemi non di poco conto li hanno anche gli Stati Uniti, ma più che per valutazioni etiche lo stop all’invio di armi dipende da questioni di bilancio. La decisione da parte del Congresso di Washington è legata al rischio di shutdown che una volta ancora è stato scongiurato all’ultimo minuto, con un intervento normativo-ponte. Un accordo tra i due partiti americani ha permesso di approvare un nuovo bilancio, dal quale però sono scomparsi i sei miliardi di dollari di aiuti previsti per l’Ucraina.

«Lentamente qualcosa di muove – osserva Bassoli – Purtroppo per non per la consapevolezza di fermare la guerra e sedersi attorno al tavolo, ma per la stanchezza dell’opinione pubblica e dei bilanci degli Stati».
Il pacifista fa anche i conti di quanto hanno pesato le forniture militari per la guerra in Ucraina: 100 miliardi di dollari da parte degli Usa e oltre 80 miliardi di euro da parte dell’Ue.
E a proposito di Europa è particolarmente grave che non sia mai stata messa sul tavolo una proposta di negoziato da parte dell’Ue.
A questo proposito la rete Europe for Peace ha intenzione di tenere un’assemblea a Bruxelles per sollecitare le istituzioni europee ad abbandonare la strada della guerra e a contemplare quella della soluzione politica del conflitto.

ASCOLTA L’INTERVISTA A SERGIO BASSOLI: