E’ tornato sul palco del Comunale di Bologna il danzatore Sergio Bernal in uno spettacolo composito, ricco di stili coreografici e atmosfere differenti, che lo ha visto protagonista e stella splendente se pur attorniato da 15 musicisti e 4 danzatori/trici. Con un gioco di parole usa le prime tre lettere del proprio nome Bernal per presentarsi al pubblico col titolo dello spettacolo: “Ser” che in spagnolo significa essere. Racconta chi è il grande danzatore, mescolando il flamenco, il classico o neo classico insieme al contemporaneo e al pop per uno spettacolo memorabile e coinvolgente.

Si presenta già dall’Obertura Sergio Bernal, con una sua coreografia su musica percussiva, eseguita dall’ Orquestra Crus Diez, in maglietta luccicante nera e un cappello. Una coreografia da grande spettacolo, da musical in grande stile con effetti luce davvero ben studiati che creano coni di luce bianca solo su di lui esaltando la sua fisicità nell’assolo che emana pura energia.

Nella coreografia seguente che dà nome allo spettacolo “SeR” il danzatore e coreografo non è solo ma in trio con Carlos Romero e Cristina Cazarola. La coreografia è firmata, oltre da Bernal, anche dal collega Riccardo Cue e viene definita dall’artista una “danza stilizzata” in cui il pop e il flamenco si contaminano su una canzone di Beyoncè e in cui i tre danzatori emergono ciascuno con la propria fisicità e personalità in un’aura di grandeur che rimanda a spettacoli di Broadway. Il palcoscenico è riempito dai danzatori e dalla danzatrice e, sullo sfondo inondato di luce, dai musicisti con fiati e percussioni. In platea giunge meraviglia e gioia.

Lo spettacolo, spiega Bernal, è nato durante il lockdown quando vigeva l’isolamento e tutti gli spettacoli previsti erano stati cancellati. Anche lui, come tutti gli artisti del mondo, hanno dovuto intraprendere la strada dello studio personale, per ripensarsi e rilanciarsi. Sergio così ha indagato cosa volesse dire “ser”, essere Sergio Bernal, cosa doveva essere il tornare a fare spettacoli per il pubblico in sala. La riflessione lo ha portato a immaginare di dover costruire uno spettacolo che potesse arrivare a emozionare, che dovesse vincere la ritrosia ad andare a teatro a vedere il flamenco, una danza che talora “non si comprende”, afferma. Ed ecco aprirsi la strada dell’attraversare stili diversi evitando l’autocompiacimento per andare invece a raccontare storie ed esprimere sentimenti.

La storia, fatta di tanti filoni narrativi differenti, come la trama della vita di tanti e tante, si dipana poi attraverso Jealous, un assolo di Bernal, sua creazione su musica di Labirinth. Slacciata la camicia luccicante, sulla dolce e accattivante melodia suonata al piano (non dal vivo in questo caso, ma registrata), in un fascio di luce concentrato su di lui coinvolge in un sogno di elegante sensualità.

La coralità torna nel pezzo seguente “Griega” che comincia con la voce sola della straordinaria cantaora Paz De Manuel, per far apparire poi dall’ombra la danzatrice Cristina Cazorla specializzata nel flamenco più antico del XIX secolo detto “escuela bolera” che si fonda su una variazione iberica del balletto classico. Le due donne hanno un abito dalle forme simili, in uno stile vagamente da cariatide dell’antica grecia, e di identico colore violetto. L’atmosfera creata dalle luci è dolce e struggente come il canto popolare di De Manuel. C’è forza, dolore, resilienza tanto nel canto che nella danza, una forza come se emergesse da un ancestrale profondità matriarcale e si trasmettesse di donna in donna arrivando a noi. Cantante e danzatrice si rivolgono una all’altra in una linea diagonale che taglia il palcoscenico lungo la quale si sviluppa l’elegante e precisa danza di Cazorla, fino al congiungimento delle due donne in un abbraccio finale solidale e consolatorio.

Torna in scena Bernal con Carlos Romero nel “numero” seguente, Racheo firmato da Bernal e Manuel Benìtez. I due danzatori sono immersi in una luce rosa nel fumo. La musica registrata di Raùl Domìnguez è percussiva e sul suo potente ritmo i due danzatori esprimono le proprie caratteristiche fisiche e giocano sui propri caratteristici stili di danza quasi scambiandosi e contaminandosi. Il flamenco più classico va a ibridarsi con il balletto classico, con il contemporaneo, con passi coreografici da musical, da tip tap alla Fred Astaire.

Arriva Spring sulla incredibile versione di Max Richter della primavera vivaldiana. In scena Bernal con Ana Sophia Scheller. Questo pezzo viene definito dal programma di sala una “miniatura coreografica” perché nata per accennare a una storia ed esprimere sentimenti. Il passo a due è seducente, avvolgente sulla dolcezza del famoso brano, lo stile è classico o neo classico, con utilizzo delle punte da parte della danzatrice per un’esecuzione di grande pulizia ed eleganza. I will not forget you vede in scena la stessa coppia di danzatori e la musica resta di Richter. In scena ciascuno occupa uno spazio racchiuso in un cono di luce. I due si osservano, si incontrano in momenti di grande intensità fino a un momento doloroso finale in cui i due scompaiono nel fumo. Entra poi in scena Carlos Romero che è primo ballerino del Ballet Nacional de Espana, per un suo assolo “Summer2” sempre sulla trascinante musica di Max Richter da Vivaldi.

In un crescendo emozionante ritorna in scena la straordinaria cantante Paz de Manuel. Prima domina la voce sola dell’artista illuminata in contro luce, insieme ad altri due musicisti immobili accanto a due sedie, su uno sfondo di luce arancione. Parte poi la chitarra andalusa di Daniel Jurado e la parte percussiva col cajon di Janvier Valdunciel mentre la cantante esegue vocalizzi che esprimono dolore, ansietà. Col variare della danza di Bernal ora più ritmica ora più intima, variano le atmosfere musicali e le luci con momenti di maggiore o minore presenza della voce. Chiuso lo straordinario Solea X Bulerias dal sapore fortemente spagnolo e di flamenco, per quanto contaminato, si arriva a un pezzo classico o neo-classico, passando attraverso un momento di silenzio e strani rumori di vento, suono naturali che portano all’apparire della musica del Cigno di Camille Saint- Saens. Bernal, fin dal momento di silenzio, inizia a muovere le braccia come ali diventando a poco a poco cigno con eleganti e pacati gesti che si sviluppano in gran parte a terra, con spaccate e chiusure in allungamento sulle proprie gambe e con momenti di sospensione in piedi come maestoso cigno sull’acqua. L’assolo rilegge La morte del cigno di Fokin ed è un pezzo forte di Bernal creato insieme a Riccardo Cue.

La danza esplode nel pezzo di chiusura dello spettacolo A Bailar con la musica dal vivo dell’ Orquestra Cruz Diez di fiati e percussioni e con la voce diu Antòn. Tutti e quattri i danzoatori e danzatrici tornano in scena per una festa che sembra celebrare la vita ritrovata nell’arte e nel rapporto con il pubblico. L’energia della musica è potente, la coreografia è ispirata a William Forsythe star del balletto post- classico e consente a ciascuno e a ciascuna di mettere nella festa collettiva il proprio stile nella bellezza della pluralità e dell’unicità.

Lo spettacolo è sorprendente e comunica vitalità e gioia di vivere e suscita un profondo rispetto per la professionalità e la passione degli artisti e delle artiste per l’impegno e la fatica che comporta lo studio e la ricerca di ser, di essere unici, di costruire una coreografia personale ed emozionante, di viaggiare attraverso gli stili della tradizione e costruire una propria lingua e un proprio repertorio che creerà un domani, forse nuove possibili forme di tradizione, nuovi modi di danzare e di intendere la danza.