Il titolo riecheggia il nome di una celebre band crossover degli anni ’90, generazione dell’autore, ma con un gioco di parole che fotografa bene l’oggetto del libro. È “Rights against the machine! Il lavoro digitale e le lotte dei riders” (Mimesis Editore), il saggio di Marco Marrone fresco di stampa. Un libro che ha avuto una gestazione di tre anni da una prospettiva particolare e duplice, quella di ricercatore (Marrone è assegnista di ricerca al Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna) e quella di co-fondatore di Riders Union Bologna.

Riders, un libro nato tra ricerca e lotta

«Il libro è nato da un percorso di attivismo e ricerca insieme – racconta Marrone ai nostri microfoni – dove i confini fra le due cose sono stati molto labili, perché è stato grazie alle lotte dei riders che tutti abbiamo scoperto il profondo sfruttamento che si nascondeva dietro le retoriche anche scintillanti delle piattaforme e dell’economia della condivisione».
Uno studio che ha portato quindi ad analizzare sia i meccanismi di questo sfruttamento, ma anche l’impatto che le piattaforme hanno avuto sulle modificazioni delle città da un lato, sia le battaglie dei riders per il proprio riconoscimento come lavoratori a tutti gli effetti.

Dalla propaganda iniziale delle piattaforme, secondo cui il delivery era un hobby per fare attività fisica e guadagnare qualche spiccio, proprio grazie alle lotte dei riders negli anni è emerso che in realtà, la cosiddetta Gig economy era una forma diversa, «pervasiva e occulta» sottolinea l’autore, di sfruttamento, favorita da decenni di politiche liberiste che hanno spinto le persone verso i lavoretti.
Di qui, la riproposizione in chiave moderna del cottimo, assieme a forme nuove di sfruttamento fatte di algoritmi, geolocalizzazione, ranking sulle prestazioni lavorative ed altri strumenti tecnologici che hanno spiazzato anche la regolamentazione del mercato del lavoro.

Per contro, i riders in questi anni hanno operato una forma di resistenza alle piattaforme che li ha portati anche ad ottenere importanti risultati, come l’inchiesta e la pronuncia del Tribunale di Milano o il contratto di Just Eat. Risultati ottenuti in relativamente poco tempo e che hanno sorpreso sia i media che altre categorie di lavoratori sfruttati.
«I riders appartengono alla sfera dei lavoratori inorganizzabili – sottolinea Marrone – Non dimentichiamoci che nel mondo sono due terzi i lavoratori che sono privi di diritti sindacali. E i riders con le union non hanno dato vita a nuove forme di sindacato».

Secondo l’autore sono due i fattori che, partendo dall’osservazione di quello che accadeva in giro per il mondo, hanno portato i riders a rendere incisive le loro battaglie. Da un lato, infatti, hanno saputo coltivare i rapporti all’interno del territorio in cui operavano, le città. In altre parole, hanno capito che era la città il terreno delle coalizioni da costruire.
Dall’altro, l’asimmetria di potere tra lavoratori e piattaforme ha fatto capire ben presto che la semplice contrapposizione non avrebbe condotto a risultati significativi. Di qui l’alleanza che i riders hanno saputo costruire con l’opinione pubblica.

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