La procura di Milano ha avviato un’indagine fiscale all’interno del mondo del food delivery, proprio alla vigilia dell’assemblea nazionale dei riders. I ciclofattorini, specie in questa fase storica così delicata, hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo ritenuto essenziale con la consegna del cibo a domicilio. La mancanza di diritti sul lavoro e contratti sicuri ha suscitato molte segnalazioni. E dopo innumerevoli denunce, partono i verbali e le analisi fiscali su Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo.
Ne abbiamo parlato con Tommaso Falchi, portavoce di Riders Union Bologna.

Riders, l’ordinanza della Procura di Milano

L’inchiesta della Procura di Milano, avviata dopo le denunce e le segnalazioni arrivate agli uffici giudiziari sui numerosi infortuni stradali subiti dai rider durante il lockdown, ha portato a verbali per le quattro società coinvolte relative ad inadempienze rispetto alla sicurezza sul lavoro dei fattorini, per oltre 733 milioni di euro, alle quali potrebbero aggiungersene altre da parte dell’Inps e dell’Inail.
Non solo. Ai ciclofattorini arriva un riconoscimento come lavoratori dipendenti, al punto che i giudici impongono l’assunzione di circa 60mila lavoratori in tutta Italia.
«In questa maxi inchiesta della procura di Milano viene detto quello che noi diciamo da anni, ovvero che lavoriamo in condizioni di sfruttamento, di precarietà e ricattabilità», spiega ai nostri microfoni Tommaso Falchi di Riders Union, sottolineando la parola utilizzata dal procuratore capo Francesco Greco “schiavismo”.

Ad oggi non è più possibile ignorare il problema. Quello dei rider è diventato sempre più un lavoro cruciale nel sistema ristorativo e sociale, e la pandemia ha soltanto evidenziato questo dato di fatto. Per tutta la durata del lockdown – ma non solo – la consegna a domicilio è diventata una pratica abitudinaria, e i ciclofattorini hanno contribuito concretamente all’emergenza sanitaria ancora in corso. Ma mentre la richiesta del delivery è cresciuta, i diritti dei lavoratori sono rimasti ignorati dalla politica delle piattaforme, che tuttora non garantiscono tutele per questa categoria fondamentale e che tra le più si è esposta al rischio del contagio.
«Siamo dei lavoratori a tutti gli effetti, dobbiamo essere assunti dalle piattaforme», prosegue Falchi.

Cruciali per il riconoscimento, in questi anni, sono state le lotte dei lavoratori in Italia e in diversi contesti del mondo, che hanno saputo catalizzare l’attenzione su una forma nuova di sfruttamento, poco conosciuta e che non sembrava interessare la politica o parte del mondo sindacale. I ciclofattorini, autorganizzatisi all’unisono, possono cantare vittoria nel veder finalmente riconosciuto il proprio punto di vista.
«Stanno arrivando sempre più sentenze positive. Aldilà dell’algoritmo, aldilà della piattaforma, noi siamo eterorganizzati e subordinati. Lavoriamo con la divisa, i borsoni, i loghi delle aziende – spiega l’attivista – siamo valutati costantemente in una classifica su quanto siamo efficenti, su quanto corriamo veloci, se riceviamo critiche negative dai clienti, e in base a questo si alza o abbassa un punteggio».

Di fronte alla prestazione lavorativa, agli orari di lavoro prestabiliti, alla valutazione dell’azienda e della clientela, Falchi ribadisce «non siamo imprenditori di noi stessi o lavoratori autonomi, siamo dipendenti. E come tali vogliamo diritti e tutele piene».
Il cofondatore di Riders Union, di fronte all’ultima pronuncia, si dice soddisfatto. Bologna è stata una delle città che più ha fatto sentire la propria voce e i ciclofattorini si sono battuti nonostante il rischio di perdere il lavoro stesso.
Ma come afferma Falchi stesso «i diritti e la dignità non si barattano», e la lotta nazionale ed internazionale non deve fermarsi finché non vengano dati ai riders i diritti che gli spettano: la tutela sul lavoro e la sicurezza per il loro futuro.

L’assemblea di oggi verso un nuovo sciopero

Forti della pronuncia giudiziaria, i riders terranno proprio oggi un’assemblea nazionale online. «Sono più di duecento le persone che si sono iscritte per partecipare – fa sapere l’attivista – e ci sono 28 città italiane. Finalmente siamo noi a dare il colpo di grazia a queste piattaforme capitalistiche».
Gli obiettivi della nuova mobilitazione ribadiscono il «no al contratto truffa Assodelivery-Ugl, no alla paga a cottimo – conclude Falchi – sì ai diritti e alle tutele piene, sì a un monte ore garantito, sì a una paga fissa oraria».
L’incontro di oggi ha come duplice obiettivo quello di concordare uno sciopero nazionale per fine marzo simile a quella del 30 ottobre scorso, che sia coordinata per dire che «il tempo è arrivato, vogliamo assunzioni e contratti regolari. Basta precarietà e basta sfruttamento».

Emily Pomponi

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