L’abolizione della pena carceraria per i giornalisti condannati per diffamazione è un segnale importante. Nel silenzio generale, però, sono gli emendamenti a preoccupare. Nel provvedimento non si fa riferimento alle querele temerarie, la spada di Damocle sul giornalismo indipendente, che allo stato dei fatti, è destinato a scomparire.

La manifestazione dei giornalisti

Quello che doveva rappresentare un passo in avanti per la libertà d’informazione nel nostro paese (al 49° posto nella relativa classifica mondiale), l‘abolizione della pena detentiva per i giornalisti condannati per diffamazione, potrebbe rappresentare la fine del giornalismo indipendente.

La proposta di legge in materia, in discussione in questi giorni al Senato, è infarcita di emendamenti che poco hanno a che fare con la libertà di stampa. Su tutti, l’obbligo di rettifica, talmente stringente, da individuare in negativo una specifica fattispecie di reato anche per il direttore della testata che non adempia agli obblighi di legge.

Ma è un altro l’aspetto più preoccupante. Si tratta dell’assordante silenzio di tutta la classe politica sulle querele temerarie, quelle azioni, cioè, che costringono il giornalista querelato a eliminare l’articolo sotto accusa, prima che un tribunale si sia pronunciato e sotto la minaccia di risarcimenti milionari. Palazzo Madama ha, fino ad ora, ignorato il rapporto delle Nazioni Unite sulla libertà d’espressione che raccomandava che fosse riservata al querelante sconfitto in sede giudiziaria, una sanzione pari al risarcimento richiesto al giornalista querelato, oltre, s’intende, al pagamento delle spese legali.Senza un provvedimetno del genere, i giornalisti, soprattutto di piccole testate incapaci di pagare eventuali risarcimenti milionari, continueranno a vivere costantemente sotto la minaccia della querela temeraria, nella condizione di essere disinnescati.

In futuro, se le cose rimarrano come adesso, i giornalisti non potranno fare altro che dedicarsi alla vendita. Si trasformeranno da professionisti in piazzisti, occupati a scrivere articoli a pagamento (gli unici a garantire di non finire nel gorgo delle querele). Ci sarà un cliente che paga e ordina, e un pupazzo sorridente che esegue. Qualcuno ha già colto questa tendenza e ne ha fatto una professione, che però non c’entra nulla con il giornalismo, che, intanto, è morto.