In difficoltà per i dazi imposti dagli Usa e con una crisi di diversi settori, in particolare l’automotive, la Commissione europea pensa alle armi come strumento per riconvertire la propria industria. È apparso chiaro nel discorso della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, tenuto ieri in occasione dei primi 100 giorni del suo secondo mandato. Von der Leyen ha ovviamente parlato anche del contestatissimo piano da 800 miliardi ReArm Europe, indicandone le opportunità di sviluppo per l’economia europea al punto da diventarne un vero e proprio asset.
In questa chiave, quindi, appaiono più chiari le ragioni dei toni di urgenza e degli allarmi sulle presunte minacce lanciati da esponenti europei in questi giorni.

La vera ragione del riarmo è rilanciare l’economia riconvertendo pezzi di industria

Cruciale, nel discorso di von der Leyen, è stato proprio il passaggio che lega il riarmo all’economia europea. «È importante sottolineare che la forza economica e il piano europeo di riarmo sono due facce della stessa medaglia – ha detto la presidente della Commissione – Il potenziale economico e innovativo dell’Europa è una risorsa per la sua sicurezza, ma al contempo, gli sforzi europei per la difesa possono fornire una spinta enorme a un mercato unico più competitivo nel medio e lungo termine. I prossimi grandi investimenti nella prossima generazione di equipaggiamenti militari e infrastrutture di sicurezza potranno generare una potente spinta per industrie cruciali. Basti pensare all’accelerazione della digitalizzazione e alla modernizzazione delle reti di trasporto, oppure alle applicazioni dell’intelligenza artificiale, al calcolo quantistico, alla comunicazione sicura. Pensiamo a tecnologie chiave come le reti satellitari, i veicoli autonomi, la robotica. Tutto questo è da un lato essenziale per la difesa dell’Europa, ma altrettanto fondamentale per la sua competitività. Le piccole e medie imprese in tutta la nostra Unione, in particolare le 2.500 che fanno parte della catena di approvvigionamento della difesa, saranno al centro di questa trasformazione».

Oltre al rilancio dell’economia europea, secondo von der Leyen il piano ReArm Europe risponde alle minacce che la stessa Europa starebbe subendo. «Ciò che è cambiato in questi 100 giorni è il nuovo senso di urgenza – ha premesso la presidente della Commissione – Qualcosa di fondamentale è mutato. I nostri valori europei, democrazia, libertà, stato di diritto, sono sotto minaccia. Vediamo che la sovranità, ma anche impegni incrollabili, vengono messi in discussione».
Nonostante le critiche per un provvedimento che prevede il riarmo dei singoli Stati e non una politica di integrazione, von der Leyen continua a sostenere che «può rappresentare le fondamenta di un’unione europea della difesa».

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La vecchia (e falsa) retorica immorale delle armi che portano lavoro

«Noi consideriamo questo piano di riarmo l’esatto opposto di quello che noi stiamo provando a fare con la reindustrializzazione dal basso ed ecologicamente avanzata, in generale con tutto ciò che è il tentativo di conversione ecologica dell’industria», afferma ai nostri microfoni Dario Salvetti del Collettivo di Fabbrica ex-Gkn. La battaglia che da ormai tre anni stanno conducendo operai e operaie è proprio per la reindustrializzazione del sito, che prima del disimpegno del fondo finanziario Melrose era impegnato nel settore dell’automotive.

«Questo piano di riarmo è un piano umanamente atroce – continua Salvetti – dalle premesse sbagliate dal punto di vista del futuro dell’umanità e del benessere sociale. È uno schiaffo dopo anni di austerità, uno dei tanti a dire la verità, non il primo e non sarà l’ultimo, che ci dice che sostanzialmente la nostra sofferenza è stata completamente inutile. Noi lo sapevamo, però quando ci dicono ci sono 800 miliardi di euro, credo che sia più o meno il 70% della spesa sanitaria sommata di Spagna, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna. Ci dicono che tutto ciò che noi abbiamo sofferto di privazioni, di mancanza, di costi per studiare, per muoverci, era completamente evitabile».

L’esponente del Collettivo di Fabbrica, però, sottolinea anche l’errore dal punto di vista industriale alla base del piano. Ricordando che l’Italia è al ventitreesimo mese di calo della produzione industriale, ciò che servirebbe per il rilancio è sicuramente un intervento pubblico. «Ma l’intervento pubblico fatto senza un cambiamento generale dei rapporti di forza è un intervento in cui l’unico settore che si finisce per finanziare è quello più redditizio, quello in cui l’attuale capitale evidentemente vede uno sbocco produttivo, che è quello militare».

La reindustrializzazione nel settore militare, però, è una reindustrializzazione focalizzata che dà un peso enorme ad alcuni colossi come Leonardo e mangia risorse per altri settori dell’economia. «Quindi mentre il grosso dell’economia continuerà a vivere di lavoretti servizi, lavoro sottopagato, turismo, consumo del suolo, ci saranno pochi punti focalizzati e pericolosi. Io credo anche per la democrazia del paese, dove il potere economico militare si rafforzerà, tutto il contrario quindi di una armoniosa e gioiosa reindustrializzazione del paese che dà lavoro a tante persone», conclude Salvetti.

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