La retorica intorno all’attentato fascista avvenuta a Macerata si consuma sul corpo delle donne, appellandosi a una maggiore sicurezza. Non una di meno Bologna: “La violenza patriarcale è ciò che unisce razzismo fascista e razzismo democratico. Entrambi sostengono un sistema che si alimenta di gerarchie […]”

Sull’atto terroristico fascista di Macerata, molto si è detto o preferito non dire. Fascista è una parola forte, che richiama una memoria collettiva con cui l’Italia non ha ancora fatto definitivamente i conti. Per questa ragione molti degli esponenti dei partiti politici hanno preferito derubricare la sparatoria contro 6 persone africane a gesto folle e addirittura strumentalizzare per criminalizzare le e i migranti in pieno stile da campagna elettorale.

La retorica che è emersa, da destra a sinistra, è stata quella di un “folle”, tale Luca Traini, che ha voluto vendicare l’omicidio della diciottenne Pamela, per cui sono stati fermati tre nigeriani. La “ritualità”che ha contraddisto il gesto (il tricolore, il saluto romano, la rivendicazione) è passata in secondo piano e, soprattutto, ci si è dimenticati delle persone,Jennifer, Mahamadou, Gideon, Wilson, Festus e Omar, che Traini ha colpito, tutte africane e di pelle nera. La narrazione sembra essere quella che di solito contraddistingue un femicidio: media e politica parlano di raptus anzichè di violenza di genere, come in questo caso di un criminale anzichè di un neofascista, di fatto eludendo la matrice culturale: in un caso il patriarcato, nell’altro l’ideologia fascista e razzista. 

La sparatoria di Macerata, d’altro canto, evidenzia il nesso tra sessismo e razzismo, facendo di fatto sciacallaggio mediatico sul corpo di una donna. Come fa notare Serughetti “il corpo delle donne si fa confine, linea di separazione, o campo di battaglia per l’affermazione di istanze identitarie“. Da una parte l’uomo nero, il famigerato antagonista nelle storie della buonanotte, contro cui bisogna difendersi, dall’altro l’uomo bianco che ci protegge, la lotta tra questi due personaggi si consuma sul corpo della donna, ancora una volta oggetto da sacrificare o da salvare. Peccato che passa del tutto inosservato un terzo elemento, e cioè che tra i feriti compare un’altra donna Jennifer, che viene declassata a corpo di serie B, in quanto nera. Totalmente invisibilizzata nelle parole di chi si appella a una maggiore sicurezza, così come gli altri cinque ragazzi completamente dimenticati da gran parte della politica istituzionale.

La brutale unione tra il razzismo e la violenza sessista del patriarcato, però, non si è esplicitata soltanto a Macerata.“, si legge nel comunicato di NonUnaDiMeno Bologna, ma anche “il razzismo democratico invoca la violenza patriarcale per giustificare ulteriori restrizioni alla libertà di movimento ed espulsioni. Le tante matrioske riapparse sabato mattina per le strade di Bologna sottolineano i tanti volti del razzismo. 

           

“Dalle sedi dei partiti politici alle sedi dei giornali e delle televisioni, dall’Hub di via Mattei che il sindaco di Bologna vorrebbe trasformare in nuovo CIE”, trovando il beneplacito del segretario regionale, fino alla chiesa di Via Libia, il cui parrocco si era scagliato contro la ragazza stuprata a novembre, dicendo che se l’era cercata.

In nome della sicurezza, dunque, si amplifica la paura per alimentare il regime dei confini e dei permessi, si tenta di vietare un corteo che ha visto scendere in piazza circa 20.000 persone, nonostante una città blindata. Un corteo che ha sfidato la strategia della tensione messa in campo da Minniti&co per stringersi in un abbraccio collettivo e solidale con Jennifer, Mahamadou, Gideon, Wilson, Festus e Omar, contro ogni razzismo e ogni fascismo. 

Alina Dambrosio