Se l’annuncio del monolocale di appena otto metri quadrati in affitto a 600 euro al mese a Bologna è diventato un caso nazionale, la speculazione immobiliare in città è assai più diffusa.
I cosiddetti “monolocali extrasmall”, veri e propri bugigattoli messi sul mercato della locazione a prezzi salati, sono un fenomeno in espansione, di cui ha responsabilità il governo. Ma attorno al tema della casa si registrano anche narrazioni tossiche, come quelle dei giornali che presentano in chiave positiva le storie di chi è costretto a vivere in auto.
Una situazione che preoccupa Piazza Grande, che sul tema ha lanciato un appello intitolato “Questa casa non è una casa”.

Un bugigattolo non è una casa: la dignità dell’abitare nell’appello di Piazza Grande

A mostrarsi indignati per l’annuncio del monolocale di otto metri quadrati sono stati anche esponenti del governo Meloni. Peccato però che lo sdoganamento di spazi sempre più angusti da mettere in affitto per fare profitto arrivi proprio da questa maggioranza, in particolare dal ministro Matteo Salvini.
È suo, infatti, il decreto Salva casa che ha abbassato i requisiti e aperto il mercato delle micro-case, proposto come un superamento delle vecchie norme sugli spazi abitativi. «Il regolamento degli anni ’70 – ricorda Piazza Grande – garantiva, ad esempio, 14 mq minimi per abitante, 28 mq minimi per i monolocali con un inquilino, 38 mq per una coppia, oltre a stanze da letto di almeno 9 mq, soggiorni di 14 mq e l’obbligo di finestre apribili. Molti di questi requisiti di abitabilità sono stati superati per aprire il mercato alle micro-case, favorendo l’ennesima speculazione, con nuove opportunità di guadagno».

Oltre che legislativo, il problema sembra anche culturale e ad alimentare il brodo nel quale la casa viene vista come un business per la rendita e non come un diritto sono anche i mezzi di informazione.
«Sul finire dell’estate – ricostruisce Piazza Gramde – tutte le più importanti testate hanno rilanciato la storia di un giovane padre che vive in un’automobile: “26 anni, frigorifero, letto, cucina, piano per lavorare al pc, armadio per i vestiti, box doccia e toilette pieghevole: tutto nell’auto”. “Si può vivere anche così e vedere la vita a colori”, dice lui. “Passare a un camper non sarebbe male, però servirebbero almeno 10 mila euro. Ora guadagno circa 1.300 euro al mese e devo dare i soldi per il mantenimento di mia figlia. È un obiettivo per il futuro e conto di farcela”.

Di qui la preoccupazione della realtà che si occupa di senza dimora, ma che sta constatando come il problema abitativo investa fette crescenti di popolazione.
«Quello che ci ha spaventato negli ultimi tempi è che si sta modificando proprio il concetto di casa – spiega ai nostri microfoni Ilaria Avoni, presidente di Piazza Grande – Noi partivamo dal chiedere case dignitose per le persone che non ce l’hanno, ma adesso le case non sono più dei luoghi dignitosi dove le persone possono sentirsi bene».
Avoni sottolinea che, analogamente alle persone senza dimora che non amano vivere in strada, a nessuno piace vivere in auto o in uno spazio ristrettissimo. «Sono delle condizioni che ti costringono ad arrivare a quel punto e in qualche modo te lo fai anche piacere, perché altrimenti la tua vita ti sembra troppo difficile da affrontare».

L’appello “Questa casa non è una casa” mira innanzitutto a raccogliere storie che hanno a che fare con «case che non sono case», spiega Avoni. Il primo passo, dunque, è quello di capire cosa realmente sta accadendo in città stringendo anche alleanze con altre realtà che si occupano del tema dell’abitare per pensare azioni concrete.
«Penso che ci sia sempre anche un tema legato alla disponibilità economica – conclude la presidente di Piazza Grande – Chi può permettersi qualcosa di degno bene che lo abbia, chi non può permetterselo, e sono sempre di più, non si lamenti, perché non è più un diritto».

ASCOLTA L’INTERVISTA A ILARIA AVONI: