Via libera al “Piano Junker” da 300 miliardi di euro per investimenti e rilancio della crescita. L’intervento pubblico, però, è molto limitato. Dovrebbero essere gli investitori privati sostenere per la porzione maggiore del piano. Forti perplessià dell’economista Emiiano Brancaccio.

Nonostante i proclami trionfalistici il cosiddetto “Piano Junker” da 300 miliardi per il rilancio dell’economia europea non incontra il favore di tutti. Il piano, che dovrebbe essere presentato ufficialmente su proposta della Commissione, dovrà ricevere il parere favorevole del Consiglio Europeo in modo da poter essere operativo al massimo nel giugno del 2015.

Il progetto del presidente della Commissione appare ambizioso, ma l’impegno finanziario reale dei paesi membri rappresenta soltanto una porzione minima dei 300 miliardi previsti dal piano. Il resto degli investimenti dovrebbe provenire dal coinvolgimento di aziende private e, per effetti moltiplicativi, toccare la quota di 315 miliardi.

“I dati ci dicono essenzialmente che la proposta Junker, anche intesa nella sua versione più ambiziosa (i 300 miliardi sviluppati dell’effetto moltiplicatore, ndr) si caratterizza per un intervento pubblico estremamente limitato. Anche se questo intervento pubblico dovesse portare poi a un intervento complessivo di 300 miliardi, si tratterebbe di ben poca cosa, rispetto alla gravità della crisi nella quale ci troviamo.” dice ai nostri microfoni l‘economista Emiliano Brancaccio.

Non è il primo pannicello caldo e temo non sarà l’ultimo -spiega Brancaccio- la verità è questa. All’interno dell’Unione si procede per misure insufficienti e inutili. Il motivo è che la crisi europea è una crisi asimmetrica e divergente. Ci sono paesi che stanno vedendo precipitare la produzione, l’occupazione e stanno vedendo esplodere l’insolvenza delle imprese. Questi sono i paesi periferici dell’Unione. E poi ci sono paesi che stanno bene, come la Germania, che addirittura sta registrando una crescita produzione e occupazione dal 2008.”

Questa divergenza -conclude- crea anche una divergenza politica che spiega lo stallo e i pannicelli caldi.