Domani a Roma tornano in piazza le associazioni Lgbti per la manifestazione “ora diritti alla meta”, che avrà inizio alle 15.00 e non ospiterà le bandiere di nessun partito, ma si limiterà a fare pressione perchè il ddl Cirinnà venga approvato rapidamente anche alla Camera, portando avanti anche quelle richieste a cui il disegno di legge non ha dato risposta.
La manifestazione, che si terrà il 5 marzo in Piazza del popolo a Roma, ha diviso il mondo Lgbt tra chi pensa che Pd e M5S siano “responsabili di una legge che non è all’altezza della nostra Costituzione“ e chi invece teme di essere strumentalizzato politicamente. Anche l’opinione in merito al ddl Cirinnà, d’altronde, è altrettanto divisa tra chi pensa che sia un accettabile compromesso e chi dichiara “basta compromessi al ribasso sulle nostre vite”.
Il clima che si è creato alla vigilia di questa manifestazione non stupisce. D’altronde nel processo storico di acquisizione dei diritti si sono verificate spesso situazioni di questo tipo, basti pensare alla conquista del voto da parte delle donne o alla lenta abolizione delle leggi razziali. L’opinione secondo cui sarebbe saggio accontentarsi è la logica conseguenza dell’approvazione in senato del disegno di legge, che rappresenta in ogni caso la conquista di parte dei diritti che ancora mancavano in Italia. Ma resta il fatto che il testo approvato il 25 febbraio ha visto l’esclusione di numerosi diritti fondamentali da tempo oggetto delle richieste delle associazioni Lgbt.
“Per questo movimento – si legge sul documento politico della manifestazione – l’approvazione della nuova legge sulle unioni civili non può in alcun modo rappresentare un punto di arrivo, bensì la straordinaria occasione di acquisire nuova vitalità, nuovo slancio, nuova forza per percorrere con successo la strada che ancora ci separa dalla conquista della piena eguaglianza”.
Sempre sullo stesso documento, vi è un appello a superare le possibili divisioni all’interno delle associazione lgbt e tra i singoli: “Sbaglieremmo di grosso se oggi ci lasciassimo confondere e dividere da polemiche pretestuose o dai sentimenti contrastanti che giustamente proviamo: da una parte il senso di sconfitta per ciò che non abbiamo potuto ottenere, soprattutto per le nostre figlie e i nostri figli, dall’altra quello di gioia per la piccola breccia finalmente apertasi nel muro di pregiudizi e bigottismo che da decenni proviamo ad abbattere”.
Lo scopo della manifestazione dunque è quello di non permettere al dibattito che si è animato negli ultimi mesi di concludersi con un raggiungimento solo parziale dei diritti sperati, ma senza permettere a nessun partito di strumentalizzare questo appello. “Chi pensa di poter strumentalizzare politicamente il movimento che si ritroverà in piazza il 5 marzo deve sapere che non avrà gioco facile – si legge infatti nel testo – sono finiti i tempi in cui le persone LGBTI servivano unicamente come bacino elettorale per disegni di altri. Con questa manifestazione nazionale intendiamo ribadire la nostra autonomia che difenderemo
contro ogni tentativo di impossessarsene: vogliamo parlare non di bandiere, ma delle nostre
vite, della nostra libertà, delle nostre battaglie“.
Gli obiettivi della manifestazione si articolano su due piani.
Da una parte vi sono gli intenti immediati, ovvero fare pressione affinché la legge sulle unioni civili venga approvata rapidamente dalla Camera, vigilare sull’effettiva applicazione della legge stessa e seguire da vicino l’iter dell’annunciata legge di riforma delle adozioni. “Non saremo disponibili ad accettare compromessi al ribasso nell’aggiornamento di una normativa da cui dipendono la dignità e i diritti dei minori. La posta in gioco è tale da non ammettere distrazioni”.
D’altra parte verrà dato spazio anche a quegli obiettivi storici a cui la legge non ha dato alcuna risposta, ovvero il riconoscimento delle trasformazioni del concetto stesso di famiglia e della piena uguaglianza di tutte e tutti di fronte alla legge, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere; la condanna di omofobia e transfobia come reati che devono essere puniti in modo specifico, come avviene per tutti i crimini motivati da odio razziale, politico o religioso, e non semplici opinioni; il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione delle proprie scelte di vita e il superamento della cultura sessuofobica attraverso interventi che garantiscano l’educazione sessuale pubblica, laica e universale.
Anna Uras