«Il punto della questione è cosa farà l’Italia domani, quando ci sarà l’udienza sul percorso di trasferimento in Albania: rispetterà le leggi e la recente sentenza della Corte di Giustizia europea o, come ha fatto spesso in passato, cercherà di aggirarla con meccanismi del tutto illegittimi?».
È l’avvocato Salvatore Fachile, membro dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), a suggerire a cosa occorre fare attenzione nella prima attivazione dell’accordo con l’Albania per la gestione dei migranti. Un accordo che presenta molteplici problemi e, ancora a monte, forti dubbi di costituzionalità, ma che sembra essere partito in queste ore dopo molti ritardi.

L’Accordo con l’Albania e il governo che potrebbe violare la stesse legge italiana

Sono infatti 16 le persone imbarcate sulla Nave Libra, il pattugliatore della Marina Militare, diretta in Albania, in viaggio verso il porto di Shengjin dove è stato allestito l’hotspot per le operazioni di identificazione. Un numero di migranti piuttosto esiguo considerate le aspettative e la propaganda generata dallo stesso governo Meloni in seguito alla firma dell’accordo con il suo omologo albanese Edi Rama.
La nave della Marina, infatti, potrebbe contenere 200 persone e la questione dei costi per il complicato meccanismo alla base dell’accordo con l’Albania è stata spesso sollevata dalle opposizioni. La stessa segretaria del Pd Elly Schlein, che ieri ha affermato: «Il governo di Giorgia Meloni alza le tasse e sperpera quasi un miliardo di euro dei contribuenti per i centri migranti in Albania. Potevamo usare quelle risorse per accorciare le liste di attesa o per assumere medici e infermieri».

Un ulteriore bastone fra le ruote del piano del governo Meloni, però, è rappresentato dalla sentenza della Corte di Giustizia europea del 5 ottobre scorso. In base alla sentenza i 16 migranti, 6 egiziani e 10 bengalesi, non potrebbero essere sottoposti alle procedure accelerate per l’esame delle domande d’asilo, le stesse che si intende fare in Albania.
«Le procedure accelerate di frontiera tolgono diritti sostanziali alle persone lasciandoli solo sul piano formale», osserva Fachile. In sostanza, il discrimine utilizzato dalle autorità sulla provenienza delle persone da Paesi considerati sicuri mina alle basi le garanzie giuridiche alla base del diritto d’asilo. E qualora domani in udienza il governo sostenesse che i 16 migranti provengono da Paesi sicuri, violerebbe la stessa legge italiana e contraddirebbe le stesse liste stilate dal Ministero degli Esteri.

Perché allora insistere su un piano, quello dell’accordo con l’Albania, che si sta mostrando complicato e farraginoso? Non è un po’ troppo faticoso per un po’ di propaganda xenofoba?
«Parlare di propaganda è riduttivo – osserva Fachile – Quello dell’Italia è un atto di obbedienza alla Commissione europea, che da decenni ha l’obiettivo di esternalizzare la valutazione delle domande d’asilo in territorio non europeo. Ora si è scelta l’Albania perché è un Paese vicino e ricco quindi maggiormente digeribile, ma se passa il concetto fra sei mesi si potrà procedere con Paesi dall’altra parte del Mediterraneo, dove tutto sarà nascosto e impossibile da accertare, con minore garanzie giuridiche per le persone migranti».

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Il Decreto Piantedosi che criminalizza le ong a dubbio di costituzionalità

Le politiche migratorie del governo Meloni in questi giorni hanno sollevato altri problemi e il rischio (o l’auspicio) è che vengano smontate dalla magistratura.
A finire presto sotto la lente della Corte costituzionale sarà il Decreto Piantedosi (dl n.1/2023) contro le ong, per il quale il Tribunale di Brindisi ha sollevato con un’ordinanza la questione di costituzionalità.
Sono molteplici i problemi della legge, a partire dai porti lontani assegnati alle navi delle ong che salvano naufraghi nel Mediterraneo e che in questo modo riducono il tempo dedicato alla ricerca e soccorso. Una disposizione che appare in contrasto con la normativa internazionale secondo cui le persone salvate devono essere condotte nel porto sicuro più vicino.

Sono altre, però, le questioni di costituzionalità sul Decreto Piantedosi per cui dovrà essere valutata la costituzionalità.
La prima, come spiega l’avvocata Francesca Cavallaro di Asgi, riguarda il fermo amministrativo per le navi delle ong. «Dovrebbe essere una pena accessoria – spiega la legale – perché quella principale è una multa, ma il problema è che il fermo è sempre di 20 giorni, indipendentemente dalla violazione compiuta, il ché contrasta col principio di proporzionalità e ragionevolezza. Non solo: spesso in tribunale le ong vincono i ricorsi contro il fermo, ma il danno di immagine che hanno ricevuto e la sospensione dell’attività di ricerca e soccorso non vengono ripagate».

Il secondo punto che solleva dubbi costituzionali è la possibilità che a determinare che la condotta delle ong non sia stata corretta siano le autorità libiche, in particolare la cosiddetta Guardia costiera libica. A monte di questo ragionamento – ed è il terzo punto – si contesta che possa esistere una zona Sar (Search and rescue) di competenza libica, dal momento che la stessa giurisprudenza italiana insieme a moltissimi rapporti internazionali sottolineano che la Libia non è un Paese sicuro, dove vengano rispettati i diritti umani.
«Vengono chiamati in causa gli obblighi internazionali del nostro Paese – sottolinea Cavallaro – nella misura in cui dà legittimità a riconoscimento alle autorità libiche, che non sono considerabili di coordinare un soccorso».

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