Dalla costituzionalizzazione in Francia alla legge italiana

«La libertà delle donne di abortire sarà irreversibile», promette il presidente francese Emmanuel Macron, che ha in programma entro il 2024 di inserire il diritto all’aborto nella Costituzione. Così, aggiunge su X, «la libertà delle donne di abortire sarà irreversibile». 

Se in Francia si parla di blindare in Costituzione il diritto all’aborto, in Italia a malapena si può parlare di interruzione di gravidanza in termini di diritto vero e proprio. La legge 194, che dal 1978 regola l’accesso all’aborto volontario delle donne italiane, è una legge stabile e solida ma che non riesce ancora a garantire un servizio.

I dati

I dati nazionali ci dicono che in Italia gli obiettori di coscienza sono quasi 7 ginecologi/he su 10, oltre 4 anestesisti/e su 10 e quasi altrettanti fra il personale non medico. Al momento, non è un problema per il Ministero della Salute italiano che nell’ultima “Relazione sull’attuazione della legge contenente le norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza” del giugno 2022 non ha valutato i dati nazionali come problematici. 

Questi ultimi sarebbero inoltre problematici secondo Chiara Lalli e Sonia Montegiove, le giornaliste che hanno redatto l’indagine Mai Dati. In un’intervista a Il Sole 24 ore hanno dichiarato che: “La valutazione del numero degli obiettori e dei non obiettori è troppo spesso molto lontana dalla realtà. Dobbiamo infatti sapere, tra i non obiettori, chi esegue realmente le IVG (in alcuni ospedali alcuni non obiettori eseguono solo ecografie, oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio IVG, e quindi non ne eseguono)”. I dati sarebbero dunque di difficile interpretazione. “La percentuale nazionale di ginecologi non obiettori di coscienza (che secondo la Relazione è del 33%) deve, dunque, essere ulteriormente ridotta perché non tutti i non obiettori eseguono IVG. Non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’IVG è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria. Perché ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro”. 

Sì perché in Italia, all’aborto, si accede sempre più con difficoltà. Non di rado le donne sono costrette a spostarsi di regione in regione alla rincorsa dei medici non obiettori, che sono sempre meno e sempre più oberati di lavoro. Il cosiddetto “turismo abortivo” è un fenomeno a cui non avremmo mai voluto dare un nome.

La situazione a Bologna

Il panorama bolognese è effervescente sul tema dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). I collettivi transfemministi come Mujeres Libres e La Mala Education lottano quotidianamente per sensibilizzare e mobilitare sul tema, ospitando dibattiti e organizzando proteste. Ma qual è la situazione dell’accesso all’IVG a Bologna? Il podcast Sette su Dieci, disponibile su Spotify da marzo di quest’anno, raccoglie una serie di testimonianze preziose da chi si occupa della questione. Dall’ambito sanitario a quello universitario, per arrivare all’attivismo, le quattro puntate del podcast danno voce a ginecologi, capi reparto, professori e studenti dell’Alma Mater che vivono ogni giorno la questione sulla propria pelle, cercando di garantire la libertà di scelta di ogni donna, stabilita dalla legge ma non sempre dalla realtà dei fatti.

La risposta semplice è che sì, a Bologna le donne riescono a fare IVG. La più complessa è che farlo diventa sempre più difficile e faticoso sia per loro che per il personale medico. Il motivo principale è che la legge 194 tutela l’IVG al pari dell’obiezione di coscienza: due facce della stessa medaglia che convivono a fatica. 

L’accumulo di richieste per le (poche) strutture in cui lavora personale non obiettore è un problema sia per le donne, che vedono allungarsi le liste di attesa, sia per il personale medico, per cui l’IVG rischia di diventare una pratica esclusiva. I non obiettori bolognesi avanzano infatti una domanda di riforma strutturale della 184 in questo senso: essere pro-choice non dovrebbe essere una condanna a dover praticare solo aborti. La questione sollevata all’unanimità dai professionisti a cui dà voce l’inchiesta è proprio questa: la scelta di praticare IVG notoriamente pregiudica le prospettive di carriera dei professionisti stessi. Un deterrente non da poco.

Il mondo universitario

Dall’inchiesta emerge anche che l’Alma Mater risponde alla questione con una formazione insufficiente. I laureandi in Medicina e Chirurgia interpellati dall’inchiesta non hanno dubbi: nelle aule del Sant’Orsola di aborto si parla pochissimo e unicamente in termini tecnici. Non ci si dilunga a parlare della legge e non si affrontano per nulla i risvolti etici della questione dell’obiezione e dell’approccio al paziente. Uno degli studenti racconta che: “Gli eventuali approfondimenti vengono richiesti dai banchi, non dalla cattedra, e il dibattito è pressoché nullo perché soffocato sul nascere”. Non c’è dunque formazione che prepari all’incontro con i pazienti, né tantomeno spazio per domande personali e valutazioni sulla questione dell’aborto: “L’IVG è solo una delle tante tappe sulla tabella di marcia. Si fa e basta”.  

A 45 anni dall’entrata in vigore della legge 194, voluta e combattuta da tante e tanti, la regolamentazione dell’aborto resta insufficiente poiché non riesce a garantire l’accesso libero all’IVG. Vale la pena chiedersi, allora, a che punto siamo.

Serena Convertino