L’attentato a Donald Trump, per fortuna risoltosi solo con il ferimento all’orecchio, accende i riflettori sul problema negli Usa, che non è l’attentatore, il ventenne Thomas Matthew Crooks, ma la libera circolazione della armi e la facilità con cui chiunque può procurarsele.
Durante la presidenza Barack Obama e anche nell’attuale mandato di Joe Biden alcune piccole restrizioni sono state introdotte, ma la lobby dei produttori americani è ancora fortissima e soprattutto finanzia, quindi controlla, la politica.
L’attentato a Donald Trump e il campo libero di Thomas Matthew Crooks
Thomas Matthew Crooks, l’attentatore di Donald Trump, era un ventenne che, secondo le ricostruzioni che vengono fatte sulla stampa era da sempre oggetto di bullismo. Politicamente appariva confuso: registrato come elettore repubblicano, aveva successivamente circolare un video in cui affermava: «Odio i repubblicani, odio Donald Trump».
Sempre secondo i media, il fucile semiautomatico AR-15 che ha utilizzato, l’arma d’assalto più usata nelle stragi compiute da giovani negli Usa, era stata acquistata dal padre poco tempo prima e non era evidentemente stata custodita adeguatamente.
Sull’attentato, però, restano alcuni dubbi che riguarderebbero le segnalazioni della presenza dell’attentatore e i controlli.
Cooks è riuscito ad arrivare ad appena 150 metri dal palco armato di un fucile e la sua auto, imbottita di esplosivi, non è stata fermata da nessuno.
Allo stesso modo, prima che i cecchini dell’agenzia Secret Service uccidessero l’attentatore, le autorità non avrebbero prestato ascolto alle segnalazioni di chi indicava la presenza del ragazzo sul tetto del magazzino dal quale ha sparato.
Le armi negli Usa e i tentativi di controllarle, ma le lobby condizionano la politica
Non è certo da ieri che la libera circolazione della armi negli Usa è un problema. Le continue stragi nei licei o nei centri commerciali vengono denunciate da tempo, ma i tentativi di imporre più restrizioni sono spesso abortiti o hanno subito forti limitazioni.
Ai nostri microfoni, Giorgio Beretta di Opal (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere) sottolinea che da molti anni la maggioranza dei cittadini statunitensi vuole un controllo più serrato sulla vendita di armi. Tutti i sondaggi di Gallup, l’istituto statunitense per le ricerche statistiche e l’analisi dell’opinione pubblica, vanno in questa direzione.
Ma come funziona la vendita di armi negli Usa? «Entrare in possesso di un arma negli Usa è molto facile – osserva Beretta – perché di fatto è importante essere incensurati, non essere tossicodipendenti o avere delle malattie psichiche, sulle quali ci sono dei “background checks”, cioè dei controlli». In presenza di questi requisiti, qualunque maggiorenne negli Usa può acquistare un’arma.
I “background checks” però spesso potevano essere elusi. In particolare, l’acquisto di un’arma da un privato e non da un’armeria non imponeva l’obbligo dei controlli, per cui chiunque, in qualunque condizione giudiziaria o psichica, avrebbe potuto acquistarne.
Proprio su quest’ultimo punto è stato Joe Biden, l’anno scorso, a introdurre delle restrizioni, in particolare sulla verifica dei “background checks” anche per gli acquisti da privati.
Una misura che si inserisce nel solco del tentativo di controllare la circolazione delle armi, cominciata durante il mandato di Barack Obama alla presidenza, ma ostacolata dall’assenza di una maggioranza in Senato.
Ed è proprio questo il punto: la National Rifle Association (NRA) e più in generale le lobby delle armi negli Usa sono molto potenti e finanziano le campagne elettorali dei candidati senatori e deputati, finendo poi per condizionarne le scelte politiche.
La stessa vittima dell’attentato, Donald Trump, ha spesso preso parte alle convention dei produttori di armi, li ha sostenuti e si è spesso fatto fotografare con armi in mano.
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIORGIO BERETTA: