Più di un mese fa, il 18 febbraio, la polizia turca ha arrestato decine di persone accusate di avere interagito, tra il 2011 e il 2013, con organizzazioni definite terroristiche. L’esecutivo turco ha specificato che gli arresti sono stati condotti nell’arco di cinque giorni e hanno interessato anche giornalisti, accademici e politici.
Si tratta di uno dei ciclici repulisti agiti dal governo turco ai danni dell’opposizione. Proprio in questi giorni, infatti, a finire in manette è stato anche Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul e principale avversario del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Berfin Azdal frequentò la Scuola di Pace di Monte Sole, ora è in carcere in Turchia

Nella retata del febbraio scorso, però, assieme ai difensori dei diritti umani arrestati figura anche Berfin Azdal, attivista turca che nel 2018 trascorse un mese di studio e aggiornamento alla Scuola di Pace di Monte Sole per approfondire il potere educativo della memoria e per ragionare sulla pratica educativa finalizzata alla gestione non violenta dei conflitti, alla riconciliazione e alla promozione della giustizia sociale.
«Da allora – scrive la Scuola di Pace – sono stati tanti i progetti che abbiamo condiviso, così come le riflessioni, le risate, le preoccupazioni e le energie per continuare il nostro lavoro di promozione dei diritti umani. Niente di tutto questo è terrorismo, bensì un lavoro serio e convinto in favore della nonviolenza e della ricomposizione dei conflitti sociali».

In un comunicato della KaosGL.org, testata di cui è stato arrestato il direttore nella medesima retata, si sottolinea che le intercettazioni e gli indizi che sarebbero alla base degli arresti risalgono a più di dodici anni fa, mentre il fascicolo aperto è di questo 2025. Un’indagine pretestuosa, insomma, che sottolinea come il potere giudiziario turco sia di fatto sotto il controllo del potere esecutivo.
«Le accuse mosse contro Berfin e gli altri arrestati – racconta ai nostri microfoni Elena Monicelli della Scuola di Pace di Monte Sole – riguardano cose vecchissime, relative al periodo delle proteste a Gezi Park. L’avvocata di Berfin ci ha detto che negli interrogatori le autorità turche usano una perifrasi, chiedendo se in quel periodo si ricorda di aver usufruito dei propri diritti civili, che è un modo per chiedere indirettamente se abbia partecipato a manifestazioni».
Una prima istanza di scarcerazione dell’attivista è stata respinta e proprio oggi dovrebbe esserne esaminata un’altra, su cui però non ci sono grandi aspettative.

Berfin è anche esponente di Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, la sinistra filocurda in Turchia, scaturita da Hdk, il Congresso Democratico del Popolo, organizzazione che rappresenta unitariamente ad un livello di base politici, società civile e fasce sociali emarginate. Le organizzazioni sono oggetto di continue repressioni da parte del potere incarnato da Erdoğan, che le accusa di essere il braccio politico del Pkk, il partito dei lavoratori curdi.
Il recente appello del fondatore e leader del Pkk, Abdullah Öcalan, per il disarmo, la fine della lotta armata, lo scioglimento stesso del partito e l’inizio di un percorso che porti alla normalizzazione dei rapporti con la Turchia e alla pace, quindi, non sembra aver condizionato in positivo le politiche di Ankara.
«Berfin non ha mai fatto nulla che possa anche solo vagamente essere definito terrorismo – sottolinea Monicelli – Tutta la sua storia sia politiche che lavorativa parla di un’attivista per i diritti umani. Lei era molto attiva per il riconoscimento del genocidio armeno, tema che in Turchia non ha spazio pubblico, e per i diritti delle persone omosessuali e transessuali, altro tema delicato».

GUARDA UN SERVIZIO CON BERFIN AZDAL CHE REALIZZAMMO NEL 2018:

«La cosa inquietante è che l’avvocata di Berfin ci ha riferito che ci sarebbero chat più o meno private con liste fino a seimila persone che potrebbero essere arrestate, tra le quali ci sono molte persone che conosciamo e che hanno collaborato con noi – fa sapere Monicelli della Scuola di Pace di Monte Sole – Visto che in questi giorni si parla molto di Europa, invece di utilizzare la Turchia come strumento di contenimento dei flussi migratori e di accreditarla a livello internazionale, se si concentrasse un po’ di più sulla questione dei diritti umani non sarebbe male».

ASCOLTA L’INTERVISTA A ELENA MONICELLI: