Il 3 ottobre 2013 la strage di Lampedusa: in un naufragio persero la vita 368 migranti. Delle lacrime e dei “mai più” pronunciati da autorità italiane ed europee, oggi è rimasta la criminalizzazione di chi salva vite e l’esternalizzazione nei centri di detenzione libici della sofferenza dei migranti. Gli accordi di Minniti per il blocco dei flussi con gli stessi che fino a poco fa facevano i trafficanti.

Cos’è cambiato dal 3 ottobre del 2017, quando a pochi metri dall’isola di Lampedusa, trovarono la morte in un naufragio 368 persone? Stando ai fatti si potrebbe rispondere “nulla”, ma la realtà è che, se possibile, la situazione è addirittura peggiorata, in particolare a causa del cambio di strategia dell’Italia durante l’estate.
Il record delle morti in mare si è registrato nel 2016, quando a perdere la vita nel Mediterraneo sono stati 4733 migranti, ma nei primi sei mesi del 2017 il trend non ha mostrato alcun miglioramento: 2100 i morti fino a giugno scorso.

Da qualche settimana, però, il conteggio non sarà così facile, dal momento che le politiche del ministro degli Interni Marco Minniti hanno di fatto tolto ogni testimone dal mare. E quel che è peggio è che ad essere stati rimossi non sono stati solo testimoni, ma coloro (le ong) che con il proprio operato salvavano centinaia di vite.
Sul fronte terrestre la lotta ai migranti è cominciata con il dl Minniti-Orlando , che ha tolto una garanzia processuale ai richiedenti asilo e preteso di trasformare in “sbirri” gli operatori dei centri di accoglienza. Ma è sul fronte marittimo che si sono registrati i provvedimenti peggiori.

Da un lato l’operazione politico-mediatico-giudiziaria di screditamento nei confronti delle ong , accusate di essere “taxi del mare” o “colluse coi trafficanti” per il solo fatto di preoccuparsi solo di salvare vite. Nessuna risultanza giudiziaria è finora emersa, ma all’opinione pubblica è arrivato un messaggio preciso.
La campagna si è tradotta poi nel “codice di condotta”, che aveva la pretesa di includere nel sistema istituzionale e assoggettare alle logiche governative delle organizzazioni che fanno della terzietà e dell’indipendenza un presupposto irrinunciabile.

Il colpo di grazia, in realtà, è arrivato dagli accordi dell’Italia con alcune milizie libiche, quelle fedeli ad Al Serraj. La guardia costiera libica ha infatti minacciato di bombardare le navi delle ong che facevano ricerca e salvataggio in mare, inducendole ad abbandonare la missione.
Il risultato, dunque, è stato di sicuro la fine degli sbarchi, ma non necessariamente la fine delle partenze, come testimonia la notizia di un gommone rimasto alla deriva, fino alla morte dei suoi occupanti, nei giorni scorsi.

L’obiettivo del governo italiano, però, è già stato raggiunto: la rotta migratoria verso l’Italia è stata chiusa.
Poco importa se ciò ha comportato esporre centinaia di migranti ad atroci sofferenze, fatte di estorsioni, stupri e torture, nei centri di detenzione libici, come testimoniano diverse inchieste (anche qui).
In recenti interviste sui media mainstream, il ministro Minniti ha mostrato il suo volto compassionevole e intransigente, affermando di volersi occupare del rispetto dei diritti umani nei centri libici e sostenendo che il percorso è iniziato grazie alla presenza dell’Unhcr in Libia. Peccato che, come hanno spiegato diversi operatori umanitari al recente Festival di Internazionale a Ferrara, la presenza dell’Unhcr in Libia è puramente formale e non operativa.

Il sospetto dell’ipocrisia del ministro degli Interni italiano, in realtà, poteva intuirsi già dalla tempistica: prima si fermano i flussi e poi eventualmente il rispetto dei diritti umani. Una strategia singolare da chi afferma di avere quest’ultimo cruccio.
Lo scenario che ci si presenta, però, è addirittura più inquietante. Il governo italiano, secondo diverse ricostruzioni, tra cui anche quelle della giornalista Nancy Porsia , collaboratrice di testate come Rai, SkyTG24, Il Fatto Quotidiano, La Repubblica, L’Espresso, Radio 24, The Guardian e Al Jazeera, avrebbe in un qualche modo “riconvertito” i trafficanti in guardiani, finanziando e stipulando accordi con le stesse milizie che, fino a poche settimane fa, erano coinvolte nella tratta dei migranti e ora ricoprono il nuovo ruolo di pattugliatori che fermano i flussi.

In soli quattro anni, quindi, la commozione, le lacrime e i “mai più” pronunciati dalle autorità italiane ed europee a Lampedusa restano un lontano e peloso ricordo.
Le politiche dei muri continuano e si rafforzano sempre più, la sofferenza umana e il diritto internazionale vengono sempre dimenticati, con l’unica differenza che ora è un Paese extra-europeo, destabilizzato dalla stessa Europa nel 2011 attraverso una guerra, a fare il lavoro sporco per conto del Vecchio Continente.

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