Anche nella notte appena trascorsa ci sono stati scontri a fuoco e scambi di piccola artiglieria tra i militari di India e Pakistan lungo il confine tra i due Paesi nella regione del Kashmir. I morti accertati sinora, in particolare dopo l’escalation di ieri, su entrambi i lati della frontiera sarebbero 43, di cui 31 civili pakistani uccisi dall’attacco indiano e dagli scontri lungo il confine e 12 vittime indiane colpite dagli ordigni pachistani.
A questi, però, ne vanno aggiunti altri 26, che sono i morti dell’attentato terroristico dello scorso 22 aprile ad opera del cosiddetto Fronte della Resistenza, che è alla base della risposta indiana di ieri.

Le ragioni degli scontri tra India e Pakistan

La miccia dell’escalation è appunto da ricercare in quanto accaduto in Kashmir lo scorso 22 aprile, quando un commando terroristico uccise 25 turisti indiani e un cittadino nepalese. Secondo alcune ricostruzioni, i terroristi avrebbero chiesto ai turisti a quale religione appartenessero e la quasi totalità delle vittime risultava di religione hindu, la stessa a cui appartiene il presidente indiano, Narendra Modi.
L’India ha accusato il Pakistan di foraggiare i terroristi che hanno compiuto l’attentato e i raid di ieri, con cui l’esercito indiano ha colpito con missili strutture nel Punjab pakistano e nel Kashmir sotto controllo di Islamabad, sono stati una risposta all’attentato di due settimane fa.

La questione, tuttavia, non comincia certo nella primavera del 2025. Sei anni fa, nel 2019, Modi aveva revocato lo status speciale del Kashmir indiano, che fino ad allora aveva goduto di autonomia. La regione è l’unica dell’India a maggioranza musulmana e, in seguito alla mossa di Modi, la preoccupazione fu quella che si favorisse l’insediamento di persone di altra cultura e religione per cambiare i tratti identitari del territorio.
Da quel momento sono stati diversi gli attentati terroristici che hanno colpito cittadini indiani nel Kashmir indiano e New Delhi ha sempre sospettato e accusato il Pakistan, in particolare i suoi servizi segreti, di essere un ispiratore e finanziatore di quelle azioni.

La contesa sul Kashmir, in realtà, è ancora più atavica e comincia con l’indipendenza dell’India dal Regno Unito nel 1947. Nella frettolosa partizione il Kashmir venne diviso in due, anche se sia India che Pakistan l’hanno sempre rivendicata per intero.
Nel 1948 l’Onu suggerì di indire un referendum per risolvere la controversia, ma non venne mai realizzato e le due porzioni vennero separate dalla cosiddetta “linea di controllo”, uno dei confini più militarizzati al mondo, tracciato come linea di cessate il fuoco al termine della prima guerra indo-pakistana del 1947-48. I due Paesi sono entrati in guerra altre due volte per il Kashmir, nel 1965 e nel 1999.

La contesa attuale è assai più preoccupante per diverse ragioni. La prima è che India e Pakistan sono entrambe potenze nucleari e giusto ieri le autorità di Islamabad non hanno escluso il ricorso a quella tipologia di armi per risolvere il conflitto.
La seconda ragione sta nella sproporzione che si registra tra India e Pakistan. La prima si candida a diventare una superpotenza mondiale, il secondo è in estrema difficoltà sia economica che politica, con la mano dell’esercito e dei servizi segreti che è sempre più pressante.