Il 31 ottobre ha chiuso la Malaguti, storica casa produttrice di veicoli a due ruote. Su 170 dipendenti, solo 17 proseguiranno a lavorare per garantire i ricambi e l’assistenza che l’azienda deve assicurare. Per tutti gli altri, è stato riconosciuto un indennizzo. Per la Malaguti, però, non si è trattato di fallimento aziendale: l’azienda ha scelto di chiudere preventivamente, prima di iniziare a perdere.
Certo, la crisi si è fatta sentire: i lavoratori hanno conosciuto periodi di cassa integrazione ordinaria e straordinaria e proprio all’inizio di quest’ultima, a gennaio, Antonino e Marco Malaguti hanno annunciato di voler cessare l’attività produttiva.
“La Malaguti è sempre stata un’azienda solida, con ottimi profitti – ha dichiarato Giuliana Righi, funzionaria Fiom che ha seguito la vicenda – Non ho mai visto cessare attività con milioni di euro di riserve. Eppure, l’impresa ha dichiarato di chiudere per ragioni economiche”.
A nulla sono valsi i tentativi delle organizzazioni sindacali e della Regione di proporre un rilancio del prodotto, continuando a ricorrere agli ammortizzatori sociali per i lavoratori, in attesa di una ripresa. “L’azienda è rimasta sulle sue posizioni, e ha deciso di licenziare i lavoratori”, dice Giuliana. Da aprile, le istituzioni si sono mosse anche per cercare di trovare un partner interessato all’acquisto, ma non ci sono mai stati segnali in questo senso (d’altronde, non è nemmeno chiara la cifra che la Malaguti avrebbe chiesto).
Il paradosso della faccenda è che il marchio esiste ancora ed è sempre di proprietà di Antonino e Marco, così come la fabbrica stessa. Nulla vieta che in futuro i proprietari decidano di vendere, giocando al rialzo e ricavando cifre più alte da una cessione che non coinvolge lavoratori. Oppure tutta l’operazione potrebbe essere nata per delocalizzare la produzione, per poi commercializzare il prodotto sempre in Italia.
“A livello sindacale, questa è una sconfitta terribile. L’azienda ha chiuso. Non abbiamo convinto i lavoratori che la lotta poteva dare un risultato diverso”. Dopo le reazioni iniziali da parte dei dipendenti, infatti, c’è stato un silenzio rassegnato. L’azienda è stata disponibile da subito a riconoscere un indennizzo “Ma il risarcimento, in un caso del genere, non è mai adeguato. Molti sono i lavoratori (fra cui tante donne) sulla cinquantina, che hanno difficoltà a re-inserirsi nel mondo del lavoro, specialmente in un momento storico del genere. E il risarcimento non è adeguato soprattutto in considerazione dei soldi che la Malaguti ha”.
Debora Volpi