La legittimità delle organizzazioni umanitarie occidentali è in crisi. Di fronte alla complessità della realtà e all’emergere di nuovi attori politici, le ong non hanno più risposte adeguate. La soluzione è una: scegliere da che parte stare. L’intervista ad Antonio Donini della Tufts University.

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Due sono le premesse da cui partire. Il sistema degli aiuti umanitari sta vivendo una fase di crescita esponenziale e si sta istituzionalizzando. Allo stesso tempo, però, sta attraversando una crisi di legittimità.
“Negli ultimi dieci anni la quantità degli aiuti umanitari è aumentata di circa 10 volte rispetto al passato”, spiega Antonio Donini, ricercatore della Tutfs University ed ex collaboratore dell’Onu, raggiunto al recente Festival di Internazionale a Ferrara. “Sono stati investiti, quest’anno, 25 miliardi di dollari per la Siria, per l’Afghanistan e per l’Africa – osserva l’esperto – Questo sistema, però, non sta funzionando più come dovrebbe”.

La maggiore quantità di bisogni e lo sviluppo di un nuovo modus operandi delle organizzazioni umanitarie hanno messo in crisi questo sistema. Ad esempio, in Turchia, sono nate diverse ong che hanno principi diversi rispetto a quelle occidentali. Nei paesi del terzo mondo, invece, si stanno creando nuovi sistemi nazionali di risposta alle catastrofi naturali. Lo sforzo umanitario globale si sta quindi diversificando e non è più basato solo sulle organizzazioni occidentali.

La crisi di legittimazione è dovuta da una parte alla sperequazione tra i bisogni e la capacità di rispondere, dall’altra alla strumentalizzazione crescente“, continua Donini. L’aiuto umanitario diventa, così, uno strumento da parte degli Stati per la promozione di discorsi neoliberisti e di controllo.
Tuttavia, l’imbricazione tra politica e aiuti umanitari non è nuova. “Già durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan le ong occidentali avevano una funzione anticomunista e aiutavano i mujahidin che lottavano contro l’Unione sovietica.”

I valori delle ong, infatti, si sono sviluppati in parallelo alla nascita del capitalismo. È la visione del mondo occidentalistica ad imporre i diktat del sistema, che adesso però sta raggiungendo i suoi limiti strutturali. Le organizzazioni umanitarie storiche sono viste, per questo motivo, come le ultime vene della globalizzazione da parte dei nuovi attori sociali. Non hanno più l’obiettivo di salvare vite, ma sono un mezzo per lo State building.

La situazione si fa ancora più complicata se si pensa a come vengono erogati i finanziamenti. Gli stati occidentali, principali finanziatori, hanno degli interessi e condizionano l’impiego delle risorse per espandere la loro politica estera. Inoltre, stanno emergendo nuovi erogatori: la Turchia, quarto finanziatore, usa i beni umanitari con una funzione politica, ovvero nelle zone di loro interesse.
Un’altra delle patologie del sistema è l’oligopolio di alcune organizzazioni umanitarie. Il tutto si basa su un sistema top-down: le organizzazioni più grandi (quelle appartenti all’Onu) controllano l’80% del mercato, attraverso dei sub-contratti con le ong più piccole o locali.

Il problema è che spesso chi si occupa dell’umanitario lavora più sulle cause che sui sintomi delle crisi, eco di una visione colonialistica. “Bisogna fare una distinzione tra chi fa lavoro umanitario puro e chi si occupa un po’ di sviluppo e un po’ di umanitario. Organizzazioni come la Crocerossa e Medici senza frontiere sono percepite in modo positivo dalle popolazioni locali, poichè si rendono conto che il loro compito è quello di proteggere vite. Differentemente, si creano tensioni quando le ong intervengono nei processi politici del Paese.”

Sorge, però, spontanea una domanda: si può essere indipendenti dal potere?
Donini ribadisce l’importanza della chiarezza da parte delle ong. “È necessario che un’ong, in contesti non occidentali, dichiari quali sono i suoi principi, il suo modus operandi e non nasconda la fonte dei suoi finanziamenti. Ad esempio, Medici senza frontiere dice chiaramente che non accetta finanziamenti da paesi occidentali o coinvolti nei conflitti. Il loro lavoro si basa su contributi di volontari.”

Le organizzazioni umanitarie, dunque, avranno un futuro solo se salvano vite per salvare vite. Per dirla con le parole di Jonathan  Whittall di Msf: “Un atto di aiuto umanitario è un atto di resistenza. Avviene per un motivo e contrasta con ciò che l’ha creato e con lo status quo vigente”.

Alina Dambrosio