Il partito di Aung San Suu Kyi vince le elezioni in Birmania e, se i dati ufficiali confermassero che ha superato il 70%, potrà formare il governo. Dopo 25 anni e una lunga prigionia agli arresti domiciliari, la donna-simbolo della democrazia in Birmania potrebbe dare una svolta al Paese. Due anni fa Bologna diede la cittadinanza onoraria e una laurea ad honorem all’attivista.
Birmania: il risultato delle elezioni
Mancano ancora i dati ufficiali, ma gli oppositori di Usdp, fino ad oggi al governo, ammettono la sconfitta.
È una giornata storica per la Birmania, Paese asiatico ancora in mano ad una giunta militare, che ne ha anche cambiato il nome in Myanmar. La Lega Nazionale per la Democrazia ha vinto le elezioni e, qualora i dati confermassero il superamento del 70% dei consensi, riuscirebbe a formare un governo.
Alla guida del partito c’è ancora Aung San Suu Kyi, donna-simbolo dell’opposizione democratica in Birmania, che ha pagato un duro prezzo personale per la sua lotta democratica.
Dopo la vittoria negli anni ’90, Su Kyi subì la repressione della giunta militare e trascorse lunghi anni agli arresti domiciliari a Rangoon, non potendo presentarsi alle elezioni.
Dopo le elezioni del 2007 nel Paese scoppiarono delle rivolte, ma la sua liberazione avvenne nel 2010. Due anni più tardi, il 1° aprile del 2012, ha ottenuto un seggio al parlamento birmano. Fino ad oggi, giorno della vittoria.
La lunga battaglia di Aung San Suu Kyi ha avuto una piccola tappa anche a Bologna. Due anni fa, intatti, la città le ha conferito la cittadinanza onoraria ed una laurea honoris causa proprio per la lotta democratica portata avanti dall’attivista birmana, figlia di uno dei fondatori del Paese, attraverso lo strumento della non-violenza.
Per Marzia Casolari, esperta di storia e politica dell’Asia, le cause del processo di ammorbidimento della giunta militare sono diverse. “Da un lato ha fatto effetto la pressione internazionale – osserva Casolari – e in particolare la posizione della Cina, che è il Paese con maggiore influenza sulla Birmania, ma anche le scelte di politica economica della giunta e del governo hanno avuto un ruolo, dal momento larga parte della cittadinanza viveva con estrema difficoltà”.
La giornata di oggi, dunque, potrebbe dare una svolta alla situazione del Paese, ma secondo l’esperta molto dipenderà ora da come reagiranno i militari. “Nel 2007, dopo le rivolte, la giunta promise una graduale democratizzazione – ricorda Casolari – Se ora dovessero rimangiarsi le promesse fatte, la situazione in Birmania potrebbe velocemente precipitare“.