Dopo il «ne ho piene le tasche» di Mario Draghi di ieri, oggi il premier sembra tendere la mano al M5S. E lo fa per scongiurare una possibili crisi di governo che potrebbe aprirsi domani, in occasione del voto sul Dl Aiuti al Senato. Nella discussione alla Camera, infatti, i pentastellati non hanno partecipato al voto: uno scenario che potrebbe ripresentarsi e che sancirebbe ufficialmente la rottura con la maggioranza che sostiene l’esecutivo.
Ci sono tuttavia alcuni elementi che vanno tenuti in considerazione, nel merito e nella strategia, per leggere correttamente la situazione.

Il M5S e le tensioni col governo: le ragioni

Un primo elemento, che sottolinea ai nostri microfoni Giuliano Santoro, giornalista de il Manifesto, riguarda uno dei nove punti che sono contenuti in un documento rivendicativo del M5S: lo scostamento di bilancio. Un tema su cui il premier e gli altri partiti della maggioranza non sarebbero disposti a trattare, ma che ieri è stato evocato anche dai sindacati confederali nell’incontro con Draghi.
L’ipotesi di un nuovo scostamento di bilancio per trovare risorse necessarie a tamponare la crisi sociale innescata dall’inflazione e dalle altre conseguenze della guerra in Ucraina, quindi, non sembrerebbe essere più un tabù.

Un secondo elemento riguarda gli altri punti del documento pentastellato, tra cui non è presente l’opposizione all’inceneritore di Roma né la questione dell’invio di armi all’Ucraina. Un segnale mandato da Giuseppe Conte al governo per dimostrare che la volontà è quella di trattare, non di rompere.
Quello che nel documento è contenuto, invece, riguarda una serie di misure che caratterizzerebbero a sinistra il M5S guidato da Conte. Reddito di cittadinanza, salario minimo, riattivazione del Decreto Dignità, interventi sul cuneo fiscale, transizione ecologica, rateizzazione delle cartelle esattoriali e cashback fiscale, insieme alla rivendicazione del superecobonus 110%, sono tutti punti che avrebbe avanzato un partito socialdemocratico.

E quest’ultima è una chiave di lettura della crisi odierna. «Quella di Di Maio è la prima vera scissione nel M5S – osserva Santoro – il rischio è che il gruppo parlamentare che si è formato si prenda tutti gli eventuali meriti del governo Draghi».
Conte dunque è chiamato a smarcarsi, a caratterizzare in altro modo il movimento e lo sta facendo coprendo una prateria abbastanza desolata, quella a sinistra.
Con questa scelta al contempo Conte conferma il posizionamento nel campo progressista, elemento non scontato vista la storia pentastellata, ma una rottura con il governo Draghi per il Pd potrebbe sancire anche la rottura dell’alleanza con il M5S.

C’è un ulteriore quesito che il giornalista del Manifesto mette in evidenza. Dopo essere nato come movimento di protesta, il M5S ha attraversato tre governi e si configura ormai come partito di governo. Se la scelta dei pentastellati fosse quella di aprire la crisi di governo e andare all’opposizione, non è affatto scontato che alle prossime elezioni riuscirebbero a raccogliere i voti della rabbia sociale che in passato ha rappresentato la forza nelle urne del movimento stesso.

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIULIANO SANTORO: