Prima “espropriato” con un bando dalle realtà che lo gestivano in convenzione, poi sgomberato con un pretesto – la necessità di spazi per il Quartiere Santo Stefano – ma rimasto vuoto e murato per un decennio e ora la “beffa”: assegnato direttamente all’Ordine degli architetti per farne un archivio, una biblioteca ed uno spazio espositivo. È polemica attorno al Cassero di Porta Santo Stefano, che un tempo è stato la casa di Atlantide, il centro queer sgomberato appunto il 9 ottobre del 2015. Vicenda che costò anche la “testa” dell’allora assessore alla Cultura, Alberto Ronchi, che aveva aperto una trattativa con le realtà lgbtq.

L’assegnazione diretta del Cassero di Porta Santo Stefano all’Ordine degli architetti

È stato l’assessore all’Urbanistica Raffaele Laudani a presentare questa mattina in conferenza stampa il progetto della “Casa dell’architettura” proprio nel Cassero di Porta Santo Stefano. Lo spazio, già restaurato dal Comune con lavori da poco terminati, diventerà un luogo istituzionale a tutti gli effetti e ospiterà parte degli archivi e la biblioteca dell’Ordine degli architetti territoriale, che organizzerà sul posto mostre e iniziative. Questo grazie ad un accordo approvato nell’ultima seduta di giunta, centrato su una convenzione che prevede l’uso gratuito dell’immobile per sei anni, con possibilità di rinnovo da parte dell’Ordine. Nei locali al piano terra e al primo piano del Cassero, in 227 metri quadrati in tutto, gli architetti valorizzeranno la propria biblioteca come “servizio culturale, formativo e di divulgazione storica”.

Il progetto è già stato riempito di contenuti. Vengono infatti annunciati “eventi e manifestazioni” per la diffusione della cultura urbanistica e paesaggistica, appuntamenti di “visibilità per giovani professionisti e professioniste”, workshop per le scuole primarie collaborando con Summer School Soux Bologna (scuola di architettura per bimbi). L’Ordine, o meglio i suoi nuovi vertici che si stanno insediando, dovrà presentare ogni anno al Comune un programma di iniziative per la stagione successiva, con una relazione a consuntivo entro il 30 maggio, impegnandosi a non far subentrare altri gestori nell’attività. Si potrà comunque consentire l’uso del Cassero, a terzi, informando preventivamente l’amministrazione comunale.

Nello specifico, gli eventi aperti al pubblico potranno essere organizzati solo dopo la realizzazione di alcune opere necessarie nei locali, previa autorizzazione della Soprintendenza. L’Ordine degli architetti dopo il via libera della Soprintendenza definirà a proprio carico il progetto di accessibilità dell’edificio, come da regolamento comunale, e si fa carico degli oneri di manutenzione ordinaria, di utenze ed eventuali spese extra fino a 120.000 euro complessivamente, nell’ambito della durata del contratto. Per Laudani, «il Cassero di Porta Santo Stefano diventerà un luogo centrale della città, di dibattito sulla trasformazione urbana ,con focus su cultura architettonica e promozione del patrimonio artistico-paesaggistico».

La reazione di Atlantide

I collettivi queer di Atlantide avevano già preso parola sull’utilizzo dello spazio, rimasto chiuso per un decennio, in occasione dell’ultima edizione di Art City, quando gli spazi furono aperti per ospitare l’opera di un’artista sudafricana.
Oggi tornano a prendere parola. «Che genere di città stiamo costruendo? Per le lotte froce i processi, per le lobby gli spazi sociali!» è il titolo di un comunicato stampa in cui il Laboratorio Smaschieramenti, uno dei collettivi attivi ad Atlantide, commenta la notizia.
«Nel duro scontro verso lo sgombero, il Quartiere e il Comune hanno sempre contrapposto ai bisogni della comunità queer l’urgenza di collocare nello spazio servizi sociali per la comunità – ricostruiscono le attiviste – mentre la solerte presidente del quartiere correva in procura con un fascicolo di documenti per denunciare l3 occupant3».

Il comunicato prosegue tra rabbia e ironia: «A 10 anni dallo sgombero, il Cassero diventerà invece la Casa dell’architettura, dando finalmente casa ai poveri architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, che notoriamente stazionavano sui marciapiedi con i loro archivi, creando polvere e degrado».
Atlantide sottolinea contestualmente che in città c’è la necessità di spazi queer e transfemministi, dove ricostruire legami sociali devastati dal neoliberismo, dalla gentrificazione, dalla speculazione edilizia e dall’impoverimento sociale, dove fare intercultura di genere e resistere al fascismo dilagante. E che le «architetture sociali viventi che rimangono ancora senza una Casa».

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