Dopo il cohousing al posto di Xm24, la mostra di Art City al posto di Atlandide. Il 2025 sembra essere l’anno delle ferite non rimarginate a Bologna. Ferite che riguardano lo sgombero di centri sociali in città, cacciati col pretesto di progetti per gli spazi che occupavano e che per lungo tempo sono rimasti vuoti. Ferite anche per promesse disattese di spazi alternativi per realtà che hanno fatto parlare di sè anche fuori dalla città.
Era l’ottobre del 2015 quando attiviste e attivisti queer che animavano Atlandide nel Cassero di Porta Santo Stefano furono sgomberate con la forza. Ora, dopo che l’ingresso al piccolo spazio è stato murato per dieci anni, le porte riapriranno in occasione di Art City. Là, infatti, verrà allestita la mostra dell’artista sudafricana Gabrielle Goliath.

La vicenda del centro queer e la mostra negli spazi rimasti chiusi per dieci anni

“Atlantide non è un museo” recita il titolo di un comunicato di Laboratorio Smaschieramenti, una delle realtà che avevano sede ad Atlantide. «La riapertura di Porta Santo Stefano è stata annunciata sottovoce, con un post su Instagram in cui Atlantide non veniva neanche menzionata – si legge nel testo – Forse speravano che non ce ne accorgessimo. Sicuramente speravano che l’artista non lo venisse a sapere, visto che nell’invitarla i curatori le hanno parlato di una location significativa per la sua “storia di attivismo queer” ma si sono dimenticati di menzionare lo sgombero e le tante promesse disattese».
«Il problema non è che non ci hanno citato – precisa ai nostri microfoni Leo di Smaschieramenti – Il punto è che Atlantide non è una storia del passato, perché i bisogni della comunità queer sono ancora vivi».

La vicenda che coinvolse lo spazio queer fu un pasticcio amministrativo della giunta guidata da Virginio Merola e costò la testa anche all’allora assessore alla Cultura Alberto Ronchi.
Nello specifico, al termine della convenzione che da anni assegnava il cassero alle realtà che componevano Atlantide, il Comune manifestò la volontà di sbarazzarsi del centro sociale. Non lo fece per via diretta, ma attraverso un bando nel cui capitolato non erano previsti punteggi, come solitamente avviene, per chi già gestiva quegli spazi. A vincere furono due altre associazioni, ma in seguito alla lotta di attiviste e attivisti, si registrò la rinuncia. A quel punto, però, lo spazio non venne riassegnato ad Atlantide. L’Amministrazione sostenne che in quella struttura di pochi metri quadrati dovessero trasferirsi alcuni uffici del Quartiere Santo Stefano, cosa che non avvenne mai e gli ingressi restarono murati per anni e anni.

All’interno di Art City 2025, invece, le porte dello spazio dovrebbero riaprire dal 6 al 16 febbraio per ospitare “Gabrielle Goliath. Elegy“, opera dell’artista sudafricana sulla memoria della violenza razzista sulle donne e le persone queer.
«Per prima cosa abbiamo deciso di entrare in contatto direttamente con l’artista, per raccontarle la storia per intero, e abbiamo ricevuto la sua solidarietà – spiega il comunicato di Smaschieramenti – Sosteniamo l’opera e l’artista, ma critichiamo chi vuole usarla per cancellare noi e occultare un conflitto ancora vivo e aperto».
È proprio questo un passaggio cruciale: le realtà che animavano Atlantide contestano il tentativo di neutralizzare il conflitto attorno a quella vicenda e usarlo per dare un tocco alternativo a un evento culturale.

«Apprezziamo che l’attuale Amministrazione abbia accettato anche di dialogare con realtà non basate sulla rappresentanza ma sul consenso – osserva Leo – possibilità che appositamente ci era stata negata dall’Amministrazione precedente. Tuttavia il percorso istituzionale attuale non sta portando a ciò che chiedono i gruppi queer da tempo: l’individuazione di spazi per i gruppi queer».
Nel comunicato relativo alla mostra al posto di Atlantide, però, Smaschieramenti chiude con una provocazione rivolta al Comune: «O forse il Comune ci sta dicendo che ha capito gli errori del passato e vuole riaprire Atlantide perché torni ad essere uno spazio di arte, cultura e politica queer? Noi siamo pronte».

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