«La lezione fondamentale di Genova è che contro gli abusi dello Stato bisogna rispondere con una comunicazione forte, di massa, senza cattiveria, senza pesantezza, ma con decisione, che rivendichi la democrazia fino in fondo, perché Genova 2001 è stata la più grande sospensione di democrazia avvenuta in Italia». Con queste parole Giuliano Giuliani, padre di Carlo, parla dei fatti di vent’anni fa durante le iniziative organizzate per ricordare quei giorni, quando perse suo figlio.
Ai microfoni dei cronisti, Giuliani ripercorre quello che accadde nelle strade e in piazza Alimonda, quando un carabiniere, Mario Placanica, aprì il fuoco e colpì a morte Carlo.

Genova 2001, il bilancio di Giuliano Giuliani

Giuliani ribadisce quanto espresso nei giorni scorsi, cioè di non ritenere Placanica come il primo responsabile dell’uccisione di Carlo. «Già quando facevo il militare di leva, mi hanno insegnato che se succede qualcosa la responsabilità è degli ufficiali», ribadisce.
E non esita a definire “indegni” i carabinieri che attaccarono in modo illegittimo il corteo autorizzato delle tute bianche, così come quelli che effettuarono la carica nei pressi di piazza Alimonda, innescando la tensione che portò alla morte di Carlo. «Erano cento carabinieri, perché non sono intervenuti a difendere le jeep da quindici ragazzi?», sottolinea Giuliani.

La violenza dello Stato, però, non si è consumata solo per le strade di Genova durante i giorni del G8, ma si è vista anche negli anni successivi, quando è stata sistematicamente negata la giustizia alle vittime dei pestaggi, delle torture e a Carlo stesso. Per quest’ultimo non si è nemmeno celebrato il processo e la magistratura ha seguito l’improbabile tesi, smentita da periti di balistica e fisici, del sasso che avrebbe deviato il colpo che poi uccise il giovane.
I problemi si sono verificati anche quando si è arrivati a sentenze. È il caso della Diaz, dove giustizia è stata fatta in Cassazione, ma la sentenza di primo grado parlava di una semplice “perquisizione illegittima”. «Quei giudici sono ancora lì – sottolinea Giuliani – mentre dovrebbero essere cacciati a pedate nel sedere».

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