Ci siamo occupati spesso delle tematiche inerenti alle sofferenze che stanno vivendo, e non da ora, i mestieri di cura, quello dell’educatore in particolare. Si pensava che l’aumento esponenziale della domanda in seguito alle nuove emergenze sanitarie e sociali emerse e amplificatesi con il periodo pandemico, avrebbero spinto istituzioni e politica a una maggior attenzione verso queste professioni, a un loro degno riconoscimento. Così non è stato. Tutt’altro. E oggi osserviamo increduli alla fuga in massa di questi lavoratori dai loro servizi, alla difficoltà degli enti locali di avviarne nuovi per carenza di personale, al permanere di condizioni contrattuali e salariali indegne. Il tutto nell’indifferenza complice della politica che continua a emettere bandi vergognosi che mantengono queste figure professionali sotto la soglia minima di decenza e in quella dell’università che continua imperterrita, senza porsi delle domande, a formare e sfornare centinaia di lavoratori poveri del futuro. Evidentemente, per tutti costoro è ancora accettabile che la fatica di migliaia di operatori che si occupano ogni giorno di ridurre il disagio e la sofferenza delle fasce di popolazione più fragili, sia ricompensata con uno stipendio che neppure a tempo pieno permette loro di arrivare a fine mese.  

Le amministrazioni di centrosinistra che per tradizione e vocazione dovrebbero avere nel loro DNA una maggior sensibilità verso le tematiche sociali, contribuiscono compiaciute alla svendita a basso costo dei servizi sociali e sanitari pubblici nel nostro paese.

Come invertire la rotta, come rimotivare una categoria professionale disillusa da troppe promesse mancate? Può essere la “comunità educante” il primo passo verso un’internalizzazione delle figure educative almeno in ambito scolastico? O veramente si pensa, come ha proposto qualcuno, che l’istituzione di un albo della figura professionale dell’educatore socio-pedagogico, possa rappresentare una soluzione?

Nell’ultima puntata di questa lunga stagione radiofonica, abbiamo provato a fare una riflessione a tutto tondo su questo disgraziato bel mestiere che non trova mai pace. Lo abbiamo fatto con la senatrice Vanna Iori, firmataria della legge 105, che tutti noi, insieme a lei, auspicavamo poter essere un nuovo inizio.