Anche Patrick Zaki, attivista ed ex studente dell’Università di Bologna che ha trascorso 22 mesi in carcere in Egitto, è finito nel tritacarne dell’oscurantismo nostrano. In poche settimane il giovane è passato dall’essere trattato come un simbolo della lotta per i diritti umani a nemico pubblico da cui prendere le distanze e da mettere ai margini. In pochi giorni, dopo fiumi di articoli dei giornali delle destra e di editorialisti cosiddetti democratici, Zaki si è visto cancellare la presenza in trasmissione da Fazio, la presentazione all’Arsenale della Pace di Torino e la partecipazione al Festival della Pace di Brescia.

L’oscurantismo della “democratura” contro Zaki per non essersi allineato

Qualcosa di simile nel recente passato lo abbiamo già visto a causa della guerra in Ucraina. Lo zelo del pensiero dominante ha portato a censurare e ostracizzare tutto ciò che anche lontanamente suonava russo. Nelle maglie della “censura democratica” occidentale, che assume sempre più le forme di una “democratura”, era finito anche Fedor Dostoevskij, a cui però è stato impossibile attribuire simpatie putiniane per la trascurabile ragione che è morto nel 1881.
Molti ricorderanno che il corso che lo scrittore Paolo Nori avrebbe dovuto tenere all’Università Bicocca, incentrato proprio sull’autore russo, fu in un primo momento cancellato, salvo poi essere ripristinato in seguito alle polemiche, ma con la paternalistica raccomandazione di ampliare il programma includendo anche autori ucraini.

Ma perché ora Zaki è diventato inviso anche a chi pochi giorni fa lo portava sul palmo di mano? Quali colpe gli vengono attribuite? Verrebbe da dire che la ragione è che l’attivista per i diritti umani è rimasto fedele a se stesso. Zaki, infatti, è stato accusato di non aver espresso apertamente – ma soprattutto con le precise parole che avrebbe voluto chi lo accusa – solidarietà ai civili israeliani uccisi o rapiti da Hamas. E, per contro, di aver espresso solidarietà ai palestinesi vittime dell’oppressione israeliana.
In una replica pubblicata su Repubblica al biasimo espresso da Luigi Manconi, Zaki ha spiegato: «potrebbero biasimarmi perché nei miei post non ho menzionato subito il mio ripudio per qualsiasi forma di violenza esercitata o praticata contro un civile indifeso, donna o bambino, non coinvolto in questo conflitto. In ogni caso, sono contrario all’uccisione o all’aggressione di qualsiasi civile, israeliano o palestinese, non coinvolto nelle violenze, nelle colonie illegali o negli omicidi».

In realtà, il giovane ha spiegato a più riprese di non avere alcuna simpatia con Hamas e ha sottolineato che chi ha a cuore i diritti dei palestinesi non può tifare per quell’organizzazione. Tuttavia la sua “colpa” è stata quella di contestualizzare il conflitto in corso, ricordando la sorta di apartheid che l’occupazione israeliana produce in Palestina.
Tanto è bastato per sollevare le ire di chi non ammette divergenze dalla linea ufficiale e ciò ha prodotto, con solerte obbedienza, la cancellazione delle partecipazioni di Zaki ad alcuni eventi già programmati.

«Troppo divisivo», ha detto la sindaca di Brescia Laura Castelletti per motivare la censura dal Festival della Pace di Brescia, che in precedenza lo aveva invitato come testimonial.
Più evasive ed ambigue le spiegazioni della trasmissione di Fabio Fazio, che ha motivato la cancellazione della partecipazione dell’attivista con la necessità di rivedere la scaletta a seguito delle nuove priorità dettate dal conflitto in Medio Oriente. Con l’esperienza che contraddistingue chi lavora nei media da anni, “Che Tempo che fa” ha detto che la partecipazione verrà recuperata in futuro.

Cancellata anche la presentazione del libro di Zaki all’Arsenale della pace di Torino. Il Servizio missionario giovani che organizza l’evento aveva fissato l’incontro insieme al Salone del libro per il 17 ottobre, ma il post condiviso da Zaki, dove il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu veniva definito «un serial killer», aveva sollevato numerose polemiche sulla sua partecipazione. Il centrodestra torinese aveva chiesto di annullare l’evento e oggi Sermig ha comunicato la sua decisione con una nota in cui afferma che «le condizioni sono cambiate» e che ritiene «non più opportuno confermare la disponibilità ad ospitare tale incontro che rischierebbe di alimentare ulteriori polemiche, divisioni e strumentalizzazioni».

Questa triste vicenda ci dice però anche qualcosa di più sul funzionamento di alcuni festival o eventi: ciò che conta è chiamare personaggi di spicco per avere visibilità, non perché li si ritiene interessanti per il punto di vista che esprimono. Appena esprimono un’opionione un po’ diversa dal “buoni vs cattivi” ecco che non vanno più bene.