La cancel culture, lo spauracchio agitato qualche tempo fa da media e politica nei confronti di gruppi di attiviste e attivisti che chiedevano la rimozione di statue celebrative di colonialisti o stupratori, sembra non essere più un problema se avviene su base etnica e per aiutare la retorica bellica. Almeno questo è quanto si evince dalla censura che alcuni intellettuali, artisti e professionisti russi stanno subendo in questi giorni in Italia per il solo fatto di avere la nazionalità russa.

Cancel culture etnica: l’ostracismo verso tutto ciò che riguarda i russi

Ad essere incappato nell’oscurantismo e nell’ostracismo verso tutto ciò che attiene alla Russia è anche lo scrittore Paolo Nori, che ieri ha denunciato come un suo corso che doveva cominciare la settimana prossima, incentrato sui romanzi di Fedor Dostoevskij, sia stato cancellato per decisione della rettrice dell’Università Bicocca di Milano «per evitare polemiche».
«Ridicolo», è il commento di Nori, che sottolinea come Dostoevskij sia morto e come lo stesso abbia subito una condanna a morte per aver letto cose proibite.

In seguito alle polemiche scoppiate, l’Università Bicocca ha fatto marcia indietro, confermando il corso dello scrittore e sostenendo di essere un posto aperto al dialogo.

Lo stesso Nori, però, ha riportato anche il caso di Alexander Gronsky, fotografo russo che nei giorni scorsi è sceso in piazza a Mosca per manifestare il suo dissenso contro la guerra voluta da Putin e per questo è stato arrestato. Ciononostante si è visto annullare la partecipazione al Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia perché russo. Nemmeno essere dissidente verso Putin, dunque, è un elemento sufficiente per mettersi al riparo dalla cancel culture su base etnica. Che a qualcuno inizia a sembrare vera e propria russofobia.

La censura su base della nazionalità, però, non si limita a questi due casi, ma investe anche scienziati e ricercatori russi esclusi da progetti di ricerca, registi teatrali, musicisti e sportivi.
Il Museo nazionale del Cinema di Torino, ad esempio, ha cancellato una retrospettiva sul regista russo Karen Georgievich, mentre il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha ingaggiato un braccio di ferro col direttore d’orchestra Valery Gergiev, considerato filogovernativo, ma a farne le spese sarà anche la soprano Anna Netrebko, che sui social aveva condannato l’aggressione all’Ucraina, ma che non parteciperà agli spettacoli del Teatro alla Scala.

Il tentativo di isolare Putin e la sua scelta militare scellerata, dunque, colpisce anche la cultura, lo spettacolo, la scienza e lo sport russi. Di qualche giorno fa è la notizia dell’esclusione del cantante russo dell’Eurovision Song Contest e tutte le nazionali sportive russe saranno escluse dai mondiali e dalle competizioni internazionali.
Se per le nazionali la decisione può avere un senso, visto che lo sport è spesso stato uno strumento di affermazione nazionalistica, più difficile comprendere l’esclusione di singole squadre, come lo Spartak Mosca dalla Champions o le squadre russe di basket sospese dall’Eurolega e dall’Eurocup.
L’interruzione di qualsiasi forma di collaborazione investe anche la letteratura per ragazzi. La Bologna Children’s Book Fair, in programma nel capoluogo emiliano dal 21 al 24 marzo, ha infatti annunciato di voler interrompere ogni relazione con le istituzioni russe,

A testimoniare che si tratta di una vera e propria russofobia è quanto sta accadendo nella stessa società russa, dove ampie fette della popolazione, inclusi i movimenti femministi, incappa nella repressione manifestando il dissenso rispetto all’avventura bellica e dove un gruppo di cinquemila scienziati russi ha preso posizione per la pace e contro la guerra.

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